La Do Your Thang si racconta in vista del nuovo album Gang Theory – Intervista

Do Your Thang Gang Theory

Do Your Thang significa letteralmente “fai la tua roba”. Gang Theory, il primo disco ufficiale della crew romana fuori ovunque dal 10 giugno, rappresenta al meglio tale significato, valorizzando la forza di un gruppo cresciuto a pane e rap che è pronto a spiccare il volo dopo anni di progetti solisti.

Tecnicismi, sonorità elettroniche, latine e prettamente classiche si fondono all’interno del primo progetto ufficiale del giovane super gruppo capitolino, che ci ha raccontato attraverso vari aneddoti la realizzazione di un disco completo e coinvolgente sotto ogni punto di vista.

Scopriamo Gang Theory assieme alla Do Your Thang

Dopo i vostri progetti solisti possiamo dire che Gang Theory è il primo vero e proprio disco ufficiale del Do Your Thang dopo anni di attività. Era questo il momento giusto per uscire  con un album completo come questo? Avevate in testa questo progetto già da molto tempo?

White Boy: «Diciamo che è un 50 e 50. L’idea di fare questo disco c’era da tempo ma abbiamo deciso di metterci a lavoro nel periodo della pandemia. Il fato non è stato esattamente dalla nostra parte. In tutto questo possiamo comunque dire che il disco è uscito fuori nel primo periodo utile in cui possiamo esprimerci senza restrizioni»

Pacman: «Abbiamo fatto in un certo senso l’esatto contrario del Wu Tang. Siamo partiti inizialmente come gruppo live, poi ci siamo dati una mano per progetti singoli e come sintesi ultima abbiamo deciso di fare un disco. Il pensiero ce l’avevamo dal giorno zero ma evidentemente il momento buono era questo»

É interessante, soprattutto per il pubblico, capire come siete riusciti a lavorare in gruppo. Essendo un crew può risultare difficile organizzarsi per la scrittura delle strofe o la scelta delle produzioni. Vi incontravate in studio per fare brainstorming e buttare giù insieme i testi oppure ognuno da casa propria scriveva la propria strofa con il beat in sottofondo?

William Pascal: «Abbiamo cercato di lavorare insieme finché si è potuto. Prima che esplodesse la pandemia ci beccavamo ogni settimana in studio, poi purtroppo ci siamo dovuti arrangiare in maniera autonoma. Di base comunque il progetto nasce dal nostro sforzo collettivo in studio»

Che aspettative avete per l’uscita del disco? Secondo voi come sarà recepito dal pubblico?

Pacman: «Rispetto a tutti gli altri progetti del Do Your Thang, intendo quelli solisti, è la prima volta che riesco a vivermela senza un’aspettativa. Non hai l’ansia perché sai che non è una roba tua personale e avverti più l’energia positiva di una cosa fatta in gruppo. Sento davvero poco lo stress»

Tra le nuove realtà a livello locale e nazionale siete senza dubbio uno dei gruppi più validi sotto tutti i punti di vista, come confermato tra l’altro da molti vostri colleghi. In tutto questo riuscite a proporre un rap di base classico ma abbinato a varie influenze. Vi sentite a questo proposito come una sorta di ultimo baluardo che propone progetti rap nel vero senso della parola? Vi considerate inclusi nella nuova scena?

White Boy: «Non ci sentiamo appartenenti alle nuove leve per un fatto di età, visto che quasi tutti siamo sulla trentina. Siamo la generazione che sta in mezzo a ciò che viene considerato classico e quello che è considerato il nuovo. Siamo come una corsia centrale nella grande autostrada del rap italiano. In questa strada abbiamo solo scelto di fare quello che ci calza di più: c’è chi si spinge a suonare in maniera diversa a chi è un po’ più radicato nel classico. Però fondamentalmente non vogliamo appartenere a nessuna categoria»

Pacman: «Questa cosa si collega anche al significato del nostro nome. Forse il  nostro problema dal giorno zero è sempre stato trovare una corrente d’appartenenza. Chi ci segue dai nostri primi lavori sa che abbiamo coperto ogni tipo di stile o di tecnicismo. Siamo comunque sempre stati in fissa con la ricerca della ricerca dell’incastro»

William Pascal: «Siamo un po’ un discorso a parte. Di gente brava con gli incastri ce ne sta un botto, ma come dice Pacman ci è sempre piaciuto spaziare di genere in genere»

Parliamo delle produzioni. Gang Theory è molto vario anche per le sonorità che avete scelto. Dagli elementi elettronici di Trappole e quelli latini di San Fierro per esempio, due brani per certi versi molto diversi tra loro che testimoniano al meglio questo approccio. Cercate di variare in base ai gusti di ogni singolo membro della crew o c’è dietro un ragionamento diverso?

Panz: «É una cosa nata direttamente in studio. Sapevamo anche le formazioni che volevamo fare, a seconda della persona con cui ti trovi in studio. Siamo riusciti a trovare sempre un punto d’incontro, come appunto in San Fierro. Quei tipi di sonorità ci fanno volare, a maggior motivo con uno come Swed che fa molti testi in spagnolo. Ci sono state volte in cui siamo andati in studio immaginandoci il timbro e la sonorità che avrebbe dovuto avere un pezzo. Altre volte abbiamo anche portato una minima referenza per capire che direzione prendere»

White Boy: «Trappole ad esempio è nata per un errore di calcolo mentre stavamo facendo il beat del pezzo con Ensi»

William Pascal: «É stato sempre tutto iper spontaneo dal primo giorno:  un unione costante di forze e intenzioni»

Il disco ha pochi featuring, però molto ben selezionati. Non vi chiedo com’è nata la collaborazione con il Colle visto che c’è sempre stato un rapporto di stima reciproca. Come siete entrati in contatto invece con Willie Peyote ed Ensi? Perché avete scelto proprio loro?

Pacman: «Peyote l’abbiamo conosciuto nel 2015, addirittura siamo stati tra i primi a chiamarlo a Roma a suonare per fare un live insieme. É stato il coronamento di un bel rapporto d’amicizia»

White Boy: «Con Ensi già avevamo un minimo di contatti, sapevamo in qualche modo che c’era del feeling. Quando ci fu la serata di presentazione del suo disco, Clash, Again, ci chiamò per aprire la serata. A fine live io e Willie gli abbiamo chiesto la strofa sul nostro disco. Lui ha accettato in maniera abbastanza rapida senza pensarci troppo e ci ha mandato la strofa per la quale ancora saltiamo ogni volta che parte»

Come dicevamo prima, tecnicamente siete tutti molto validi: riuscite a mantenere un livello costante in ogni traccia in termini di rime, punchline e cambi di flow. C’è una traccia di Gang Theory particolarmente riuscita che secondo voi rappresenta al meglio questo vostro lato? 

White Boy: «Io ne ho due. Una sicuramente è Gran Turismo, l’altra è Trappole. Lì abbiamo dato tutti il meglio di noi, senza nulla togliere al resto del disco. Quelle nate come “banger” dove c’era bisogno di virtuosismi tecnici sono queste due in particolar modo

Chi è il più produttivo della crew?

Pacman: «Quello che scrive quasi tutti i giorni è William, o almeno quello che si avvicina di più allo standard nazionale richiesto per essere ufficialmente un rapper»

Il 9 giugno ci sarà il party di presentazione del disco tramite un evento a Roma. Potete darci qualche informazione per chi fosse interessato a partecipare?

Pacman: «Abbiamo deciso di unire gli sforzi della stampa al divertimento, creando un evento che sarà strutturato in due parti. Nella prima inviteremo alcune persone dell’ambiente hip hop e non per fargli ascoltare il disco. In seguito Dalle 22 Dibba ci delizierà come sempre con i suoi dj set folli.  L’intento è quello di unire l’utile al dilettevole ecco, nell’attesa che sicuramente sarà snervante»