Anatomia di un conflitto – Recensione di Mr Morale and the Big Steppers di Kendrick Lamar

Cercare di comprendere pienamente il significato di un disco di Kendrick Lamar è un’impresa e, inoltre, una recensione di un suo album potrebbe prendere innumerevoli strade senza che una sia più giusta dell’altra: con questa, abbiamo ripercorso la narrazione di Mr Morale and the Big Steppers nel tentativo di coglierne il portato rivoluzionario.

Mr Morale and the Big Steppers di Kendrick Lamar è un album sul conflitto – Recensione

Mr Morale and the Big Steppers è un album sul conflitto interiore di un uomo, spogliatosi del proprio ruolo di salvatore. Nel corso delle diciotto tracce, l’artista si misura con la propria mortalità alla ricerca di un io “metafisico”: un’identità personale che possa essere definita a prescindere dagli eventi esterni.

Questi sono rappresentati da una generational curse, che affligge la famiglia del rapper da anni. Qual è la strada per la risoluzione di questa conflittualità? Scopriamolo insieme.

Una critica cinica

Nelle prime tre tracce, Kendrick ripercorre la propria carriera nonché le principali vicende sociali e culturali degli ultimi anni. Ne emerge un quadro molto cinico e disilluso, in netta antitesi rispetto a quanto il rapper ci aveva abituato.

Si stagliano così all’orizzonte le prime avvisaglie del conflitto. A parlare è un K-Dot amareggiato e impotente di fronte all’indifferenza dell’umanità. L’artista prende quindi le distanze da tutto ciò dicendoci chiaramente di non volerne più sapere.

Questa rottura emerge molto bene in N95, dove lo sentiamo rappare:

I’m done with the sensitive, takin’ it personal, done with the black and the white, the wrong and the right/You hopin’ for change and clericals, I know the feelings that came with burial’s cries

Tuttavia, la critica raggiunge il proprio apice in Worldwide Steppers. Uomini e donne ricevono l’appellativo di assassini silenziosi e nessuno sembra salvarsi dalla rabbia di Kendrick. Il cuore del brano risiede nel ritornello dove il rapper definisce tutti come degli uccisori, soliti mettersi in posa e distogliere lo sguardo dalla verità che li circonda:

I’m a killer, he’s a killer, she’s a killer, b***h (What the f**k?)/We some killers, walkin’ zombies, tryna scratch that itch (What the—)/Germophobic, hetero and homophobic/Photoshoppin’ lies and motives/Hide your eyes, then pose for the pic’

L’ascoltatore rimane spiazzato dopo queste prime canzoni. Kendrick Lamar, eroe e fonte di ispirazione per milioni di persone, sembra aver voltato le spalle alla stessa società che ha cercato di guidare e di ispirare con la narrazione degli album precedenti.

Amor vincit omnia?

In questo contesto di negatività, emerge però una luce di speranza con Die Hard. L’amore per la propria famiglia sembra dare a Kendrick un’ancora di salvezza, ma – nonostante quest’isola felice – le problematiche che lo affliggono diventano innegabili.

In questa fase, si inseriscono due delle prove migliori di Mr Morale and the Big Steppers: Father Time e We Cry Together. Questa coppia di brani non deve essere interpretata per comprenderne il significato: è tutto qua, davanti agli occhi di chi ascolta.

Tema principale della prima è il rapporto che Kendrick ha sempre avuto con il padre. Una relazione plasmata dalla cultura del ghetto, impregnata di mascolinità tossica, di patriarcato e dell’obbligo morale per i maschi di soffocare le emozioni.

Il rapper riconosce che si tratti di un problema proprio di molti membri della comunità nera. Le sue parole invitano a superare questi meccanismi mortali per impedire che intrappolino anche le generazioni future:

And to my partners that figured it out without a father/I salute you, may your blessings be neutral to your toddlers/It’s crucial, they can’t stop us if we see the mistakes/’Til then, let’s give the women a break, grown men with daddy issues

La seconda, invece, vede Kendrick alternarsi a Taylour Paige nella simulazione di una lite tra due fidanzati. Oggetto della riflessione sono le relazioni malsane diffuse nel ghetto: rapporti fatti di amore ed odio, di alti e bassi, dove il sesso si alterna a minacce, insulti e violenza.

Sopravvivere non basta.

Purple Hearts chiude la prima parte di Mr Morale and the Big Steppers. I cuori viola sono un’onorificenza concessa dall’Esercito Americano a chi rimane ferito o ucciso in guerra: il brano diviene quindi una celebrazione di chi è sopravvissuto.

Dal conflitto iniziale, la prospettiva di Kendrick si è spostata su eventi traumatici nei quali l’opposizione ha fatto da padrona. Il rapper riconosce questi traumi e, al contempo, ammette di essere sopravvissuto. Con questa conquista, sono arrivate anche lezioni di vita come la necessità di avere un cuore aperto, la capacità di perdonare e di guarire:

I bless it that you have an open heart, I bless that you forgive/I bless it that you can learn from a loss, I bless it that you heal/I bless one day that you attract somebody with your mind exact/A patient life, flaws, bless ‘em twice, and they’ll bless you back

A questo punto arriva la svolta. Sopravvivere non basta e si rende necessario un percorso di analisi interiore e di guarigione che solamente la psicoterapia può aiutare a intraprendere. Questo tracciato è, infatti, il tema dominante della seconda parte di Mr Morale and the Big Steppers.

Count Me Out e Crown vedono l’artista misurarsi con la propria umanità e limiti. Nella prima, proclama la necessità di anteporre sé stesso al resto se vuole migliorare, mentre nella seconda avverte il peso della corona della fama, del successo e della responsabilità. Come scendere a patti con tutto ciò? Non ha senso cercare una risposta all’esterno in quanto la stessa va posta alla propria coscienza:

I made a decision, never give you my feelings/F**k with you from, f**k with you from a distance/Some put it on the Devil when they fall short/I put it on my ego, lord of all lords/Sometimes I fall for her, dawg

I set free.

Appurata l’impossibilità di salvare il mondo, Kendrick affronta i traumi del passato che, ancora oggi, producono conseguenze. Auntie Diaries e Mother I Sober rappresentano questa analisi.

La prima dà modo al rapper di affrontare il tema della transfobia, propria della cultura che lo ha cresciuto. Dalle parole dell’artista emerge una vera e propria ammirazione nei confronti della zia e del cugino, i quali hanno avuto il coraggio di accettare la loro vera natura. Queste vicende permettono a Kendrick di capire l’importanza della scelta come atto di volontà nel suo percorso di guarigione individuale.

Mother I Sober è invece l’epifania dell’intero album. Gli abusi subiti dalla madre di Kendrick costituiscono il punto di partenza e l’origine di una sofferenza perpetuatasi di generazione in generazione. Il rapper ha inevitabilmente pagato le conseguenze di questo trauma: è divenuto, infatti vittima di una dipendenza sessuale ed è persino arrivato a tradire Whitney, la compagna di una vita.

No dependents, except for one, let me bring you closer/Intoxicated, there’s a lustful nature that I failed to mention/Insecurities that I project, sleepin’ with other women/Whitney’s hurt, the purest soul I know, I found her in the kitchen/Askin’ God, “Where did I lose myself? And can it be forgiven?”/Broke me down, she looked me in my eyes, “Is there an addiction?”/I said “No,” but this time I lied, I knew that I can’t fix it

L’amore di Whitney lo spinge a cercare aiuto nella terapia e, nell’ultima parte della canzone, Kendrick riesce a rompere la generational curse che affliggeva la sua famiglia da tempo. L’artista accetta e – contestualmente supera – il proprio senso di colpa e il dolore riconoscendo nel mettersi a nudo la possibilità di riscattarsi e trovare la libertà.

I bare my soul and now we’re free

Un disco rivoluzionario.

Infine, in Mirror avviene la ricomposizione del conflitto. Kendrick chiede scusa per aver anteposto la propria salute a tutto il resto (fuggo dalla cultura per seguire il mio cuore), ma – nonostante l’artista appaia intenzionato a rifiutare il proprio ruolo di salvatore – non può fare a meno di ispirare. In chiusura, infatti, il rapper invita l’ascoltatore a recuperare uno specchio per partire da ciò che vi si scorge. Solamente così la strada verso la libertà sarà spianata.

Do yourself a favor and get a mirror that mirror grievance/Then point it at me so the reflection can mirror freedom/(…)/Maybe it’s time to break it off/Run away from the culture to follow my heart

Mr Morale and the Big Steppers ha il merito di catapultare la psicoterapia nella cultura afroamericana: in questo consiste, anzitutto, la sua portata rivoluzionaria. Come vari studi hanno messo in evidenza, il tema della salute mentale è molto delicato nella comunità nera: molti associano, infatti, le malattie mentali a senso di imbarazzo e debolezza tendendo inoltre a nasconderle.

Sentire un artista del calibro di Kendrick Lamar parlare di traumi psicologici, transfobia e violenza sessuale non potrà che favorire la discussione all’interno della comunità afroamericana. Ancora una volta, quindi, la sua musica è provocazione e invito al dialogo.

Musicalmente, Mr Morale and the Big Steppers è il progetto meno organico della discografia di Kendrick, ma nella scelta sonora si riflette l’eterogeneità dell’animo umano, vero protagonista della narrazione. Liricamente, invece, si parla di un album che – sul lungo periodo – potrebbe avere un impatto simile a quello dei suoi predecessori.

Per la prima volta nella sua carriera, Kendrick Lamar ha deciso di anteporre la propria storia personale a quella della comunità per parlare di fragilità, delusioni e crescita. Nonostante la sua prospettiva sia incentrata sul singolo, proprio questa caratteristica rende il disco un prodotto nel quale molte persone potranno ritrovarsi.

Solo il tempo sarà in grado di confermare queste parole e – nel mentre – non resta che riascoltare quello che, a tutti gli effetti, può essere considerato l’album dell’anno.