Salvatore di Paky: storie tristi che cancellano il pregiudizio

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Non era scontato che un ragazzo di soli vent’anni debuttasse con un disco così importante come è stato Salvatore per Paky. Sembra ieri che Rozzi si imponeva tra le hit più streammate in Italia e la fama che ne conseguiva si credeva fosse più una cosa momentanea che l’inizio di una storia molto più complessa.

Oggi, dopo diversi ed attenti ascolti, vi diciamo la nostra su uno dei dischi più attesi di questa stagione del rap italiano.

Salvatore di Paky: Storie Tristi (e vere)

Dopo una pandemia ed un silenzio assordante a cui siamo costretti negli ultimi due anni, il 2022 sembra avere tutte le intenzioni di ripristinare lo stato delle cose che abbiamo lasciato in sospeso per necessità, dove l’interruzione di ogni ingranaggio del Paese ha coinciso con un radicale cambiamento delle strategie di uscita di molti artisti, che dopo l’annullamento degli spettacoli dal vivo hanno preferito come congelare il corso del tempo.

La primavera non è neanche arrivata eppure il calendario sembra avvertirci che siamo già nella stagione più calda per il rap italiano da molto tempo a questa parte e ad aprirla è stato proprio Paky con un primo album molto atteso, su cui erano proiettate molte speranze ma anche molte ombre.

Prima del suo disco d’esordio il rapper di origini napoletane rappresentava più una scommessa che una certezza, dato che una manciata di singoli avevano sì lasciato trapelare il talento e l’autenticità ma d’altra parte dilagavano dubbi su come i limiti del suo rap avrebbero potuto essere colmati in così poco tempo. Forse dovevamo avere solo fiducia, come l’ha avuta la Universal nel lasciargli carta bianca dato che Paky si è presentato alla scena più da “adulto” che da emergente.

Non è da un rapper alle prime armi mettere temi così delicati dentro un primo disco, che affrontano la morte, il disagio sociale, il legame con le persone e quello con il territorio, i demoni dentro e tanto altro, accompagnati da una cifra stilistica inimitabile nel bene e nel male.

Sembra infatti che Paky per il suo primo disco volesse porre tutta la nostra attenzione altrove, più precisamente sui momenti che lo hanno cambiato per sempre: dalla morte dello zio al rapporto conflittuale con il padre ed ovviamente con il posto nel quale è nato, che lo ha portato a diventare ciò che è oggi.

Salvatore è un disco autobiografico, che non viene guidata da nessun Dio ma soltanto dalla strada e dalle persone e dalle vicissitudini che la popolano. Se il racconto viene fuori in modo così interessante è grazie al sangue versato dall’artista su queste rime, dove ogni parola detta non è mai fuori posto, dove il concetto espresso è preciso e dove ogni strumentale è cucita ad hoc per dargli vita propria.

Paky però non è soltanto buio ma è anche luce come spiega nella title track, con la prima parte del disco che in qualche modo prepara l’ascoltatore ad approfondire la sua personalissima storia con diversi banger d’autore. Nonostante fin qui Paky si fosse ben alternato tra pezzi più espliciti ad altri conscious, è bello scoprire una volta premuto play come la parte riflessiva del disco sia comunque molto più consistente di quella festaiola e che ad impreziosirla ci siano dei featuring come Gue, Luchè e Geolier che rendono al massimo nelle rispettive strofe.

Dopo diversi ascolti la prima parte del disco risulta infatti essere meno imprevedibile rispetto alla seconda, nonostante alcuni brani in particolare spiccano con prepotenza rispetto agli altri, come Auto Tedesca, che ci mette pochi secondi a carburare in tutta la sua potenza (ed ignoranza) o come accade nell’esercizio di stile impeccabile di Marra in No Wallet.

Prima di Salvatore Paky non era certo sul podio tra i rapper più tecnici e capaci della scena e non lo è neppure ora. Ha guadagnato però diversi punti in fatto di narrazione (Quando Piove, Storie Tristi, Mi Manchi) e di delivery (Vita Sbagliata, Mama I’m a Criminal) che segnano la vera e sorprendente evoluzione del rapper in un arco di tempo brevissimo.

Il merito di questa crescita va anche alla direzione artistica di Kermit (e degli altri producer coinvolti, primo tra i quali Skinny), con il disco che suona coerente nelle sue atmosfere da dark movie dall’inizio alla fine, grazie anche agli interventi di altri produttori che mantengono sempre il fil rouge e che ci ricordano il lavoro svolto da Sixpm con Guè nel suo ultimo disco.

Salvatore è un disco pieno di storie tristi, che però riescono ad allontanare ogni tipo di pregiudizio su chi crede che lo street rap in Italia possa essere soltanto una macchietta di quello che è all’estero. Può essere molto di più e Paky è uno di quegli artisti che ha la credibilità giusta per sostenere questa argomentazione.