I Ghetto Gods di Earthgang: poco in vista e disonorati

Ghetto Gods Earthgang

Il 24 febbraio, dopo una lunga attesa, tre singoli e una serie di rinvii che rendeva lecito dubitare dell’effettiva uscita del progetto, è stato pubblicato per Dreamville l’album Ghetto Gods degli Earthgang.

Ghetto Gods degli Earthgang è il seguito di Mirrorland

Earthgang è un duo rap di Atlanta che lavora sotto l’etichetta di J Cole, Dreamville, ed è composto da Olu e WowGr8, detti anche Johnny Venus e Doctur Dot (confessiamo di non aver ancora compreso il perché del doppio pseudonimo). Nel 2019 i due hanno pubblicato il loro primo album ufficiale, Mirrorland, un vero carnevale di flow cantati, voci dinamiche e beat colorati dedicato ad Atlanta ed alle sue radici musicali.

Nonostante una buona ricezione, il progetto non è bastato per lanciare il gruppo su un piano commerciale. Ora i due rapper si trovano ad un bivio in cui decidere se abbandonarsi al lato musicale più eccentrico delle loro composizioni o mantenersi vicini ad un gusto comune.

Dopo una breve intro di 2Chainz, il gruppo si presenta alla grande con la title track Ghetto Gods, banger trionfante con corni che tuonano e gli 808 che costruiscono la sottotrama del brano in continua evoluzione. Si tratta di un black empowerment anthem, una delle diverse canzoni motivazionali presenti nella tracklist.

Don’t think twice, my only advice
from my granddad before he passed
Looked to the stars, look at the sky at night
Tell me that heaven ain’t black

Pur non contando su una scrittura precisa come un Conway the Machine o fantasiosa come un Tyler, the Creator, i rapper di Atlanta puntano spesso sui testi per esprimere ansie e apprezzamenti verso la propria comunità.

Proprio in questo infatti eccellono, dimostrando grande abilità ed empatia in tracce come All eyes on me, Smoke sum e Strong friends. La prima è uscita come singolo e trova terreno comune con il pezzo anticipatorio precedente, American horror story, nel reiterare la sensazione di oppressione e accanimento sociale contro la comunità nera. Come racconta Olu, situazioni dalle origini inquietanti, che si propagano tutt’oggi.

Le produzioni qui sono rallentate, più chill e ariose, per lasciare spazio alla riflessione, ma senza dimenticare di aggiungere una nota di speranza e ispirazione.

L’empowerment deve passare però anche per le donne della black Atlanta ed ecco che arriva Black pearls con l’esaltante strofa di Yung Baby Tate. Senza dubbio la traccia è una banger dai bassi potenti e definita da un urlo elettrizzante alla ASAP Ferg, ma a livello testuale lascia un sapore amaro.

Il gruppo fatica in effetti a trovare il confine tra dedica alle donne e sex song, con il risultato di accenni all’importanza delle donne nere accostati a barre semplicemente arrapate.

Questa tendenza degli Earthgang a finire fuori focus appare in un altro paio di canzoni, Run too e Amen, in cui le barre in sé trovano compimento ma i concetti presentati appaiono deboli. Al contrario, diversi brani mostrano un’invidiabile compattezza.

Parliamo di Lie to me ad esempio, traccia sull’inautenticità che imperversa ai nostri tempi, che vanta una produzione psichedelica e una grande performance degli artisti. Oppure Smoke sum, escapismo allo stato puro, leggerezza e fumo per scappare dalla realtà quotidiana di violenza e tragedie.

Too smart to act dumb
So I smoke till I’m numb
Right now, I don’t wanna feel none
I roll up more just to cope, ya

La leggerezza può manifestarsi in una produzione di stampo R&B e neosoul (Amen, Smoke sum e Run too), così come in banger trap da tenere al massimo volume in auto (ricordiamo che i due sono di Atlanta). Per questo nascono Billi e Waterboyz, con i featuring di lusso di Future, J Cole e JID.

Billi ha un’anima quirky, si prende un po’ in giro nella sua ripetitività, fino al beat switch con Future, la cui cadenza profonda si accompagna all’atmosfera dell’outro. Ma pure in Waterboyz gli Earthgang decidono di spendere le ricche collaborazioni di label per una traccia carefree, in cui JID la fa da padrone e J Cole arriva all’ultimo per ribadire la sua rilevanza.

Il discorso sui featuring si allarga con la fenomenale Power, in cui il duo viene accostato in enfasi e flow da Nick Cannon e superato da Ceelo Green, il quale tornando a rappare ci regala una delle strofe più potenti dell’anno. In questo senso si nota una tendenza da parte degli artisti invitati a fare meglio degli Earthgang stessi, i quali spesso si appiattiscono sulle stesse metriche e toni simili.

Power in sé è una canzone unica, che conferma ancora una volta come il gruppo dia il meglio in contesti massimalisti, con basi che esulano da standard trap, R&B o boom bap, per portare sound grandiosi alla Kanye West.

L’altra traccia che si distingue non per sound ma per il messaggio è Strong friends. Tra le linee troviamo infatti un tema fondamentale di Ghetto Gods: la connessione con la comunità, l’amicizia e la necessità di aprirsi e sfogare le ansie. Ecco Dot che rappa:

My people be needin’ a way of expressin’
Without feelin’ judgement or gettin’ arrested
Don’t talk to each other, just keep it all bottled up,
life can get shaky, you blow any second
We forever scared to be punished for sharin’

La violenza, il pericolo, le morti per le strade, le proteste, gli arresti devono trovare modo di uscire dal sistema; in questo sono essenziali gli amici, la qualità dell’ascolto e la possibilità di urlare al mondo da un ambiente sicuro. Altrimenti si rischia di cadere in spirali discendenti, come si chiede Olu in Run too.

So who can I open up to? Probably this bottle
This sack of weed, it talks to me
We eye to eye, we knee to knee
Prayin’ for some sh*t, ain’t sure if it exists, huh

I Ghetto Gods, le persone comuni dei quartieri degradati e più in specifico la black community di Atlanta, trovano così una nuova forza nell’ascolto e nel sostegno reciproco, perché la società americana (e non solo) è malata e distratta, per cui non provvederà a rettificare gli orrori del presente.

Come altri in passato, gli Earthgang provano a dare voce alla loro gente, inserendola in un contesto contemporaneo ma non troppo cambiato. I risultati sono alterni e, sebbene la musica sia sempre di buona qualità, rischia di “normalizzarsi”, sacrificando alcune volte l’eccentricità del gruppo e altre le differenze di approccio e stile tra i due rapper.

Le basi pure seguono questo schema, andando di pari passo con le performance, nonostante il contributo di decine di produttori differenti (tra cui spesso figura lo stesso Olu).

É quindi Ghetto Gods un salto in avanti rispetto a Mirrorland o un passo indietro? Probabilmente per quanto riguarda i temi, la compattezza dei testi e i featuring si tratta di uno sviluppo ulteriore delle caratteristiche del progetto precedente, mentre a livello di atteggiamento, performance e scelte stilistiche risulta meno variegato e spesso bloccato.

Ciò non toglie al divertimento dell’ascolto, attendendo le prossime trasformazioni di questo gruppo ancora decisamente sottovalutato.

Tracce consigliate: Ghetto Gods, Waterboyz, All eyes on me, Power, Strong friends.