«Il prezzo che ho pagato è stato tutto quel che mi è capitato» – Intervista a Egreen

Egreen

In occasione della pubblicazione dell’album Nicolás, abbiamo avuto il piacere di realizzare un’intervista assieme a Egreen.

Dopo un periodo difficile, Fantini è tornato con un album intenso, sincero ed indipendente. Ci ha spiegato alcuni retroscena e abbiamo rimarcato con lui le differenze tra questo disco e il suo precedente con il quale è inevitabile paragonarlo. Ci ha parlato della scena italiana, della sua esperienza in major e dei suoi artisti preferiti stranieri.

Di seguito trovate le domande a cui gentilmente ci ha risposto.

La nostra intervista a Egreen in occasione dell’uscita di Nicolás

Questo senza ombra di dubbio è il tuo disco più intimo e introspettivo, che nasce da un periodo personale/familiare complicato. Paradossalmente, secondo molti e secondo noi di Rapologia è anche uno dei tuoi dischi migliori. E questa è un po’ una costante dell’arte: dalla sofferenza escono sempre i lavori più intensi. Cosa ne pensi di questo collegamento tra la sofferenza e la buona riuscita di un disco? È una cosa necessaria?

«Io credo che a certi livelli dell’espressione artistica sia un carburante affinché escano delle cose che possano avere una certa caratura per l’artista in oggetto. Penso anche che questo genere musicale, il rap, abbia talmente tante sfumature che non è per forza necessario. Ci sono persone coltissime che non buttano fuori in questa maniera ma fanno comunque cose di livello. Mi viene in mente un Guè o un Nex che buttano fuori in un’altra maniera. Anche se poi Guè ha fatto cose molto sentite. Io parlo per massimi esempi. Io non credo che sia una cosa necessaria, ma credo che sia sbagliato mercificare gli stati d’animo e le emozioni. Basare la propria carriera sull’essere quello che fa tutte le canzoni d’amore, quella per me è merda. È c’è tanta gente anche nell’underground che fa roba così, non è una questione di mainstream. Per me è sbagliato marciare sopra a una cosa che hai visto che ha funzionato ed è una roba che accade tanto anche nel “sottosuolo”. Per me questo perde di anima»

Nonostante te lo abbiano già chiesto anche in altre interviste, volevo chiederti una cosa affinché tu possa spiegarla brevemente anche al nostro pubblico. Sul serio avevi pensato di smettere con la musica? Ti andrebbe di spiegare brevemente questo tuo momento e cosa ti ha dato l’input a riprendere in mano il microfono e fare un altro disco?

«Quando sono arrivato in Colombia ho detto “Sì, forse è il caso di smettere con la musica”. L’input è stato semplicemente dire a me stesso: cazzo sono in Colombia, sono nato qua, ho una storia abbastanza strana… Se non utilizzo queste energie (anche brutte!) per raccontarmi in questa maniera, non lo faccio più. È stata una cosa un po’ inconsapevole…»

Il Covid sembra aver allentato la presa ora, tanto che anche tu riuscirai a portare in giro questo disco. Però da quanto mi sembra di aver capito ascoltando il disco, i tuoi ultimi anni sono stati per te molto complicati a prescindere ed il Covid è stato un’aggravante. Quanto è stato l’impatto della pandemia sulla tua carriera? Per caso ti sei fatto un’idea su cosa sarebbe successo senza questa pandemia? Quali erano i piani iniziali in major e come sarebbe dovuta proseguire la tua carriera dopo un 2020 così particolare?

«Sarò molto onesto. È divertente questa domanda, perché ne ho scherzato molto con alcuni amici che non sono pessimisti come me. Il Covid ha avuto un impatto disastroso in quel momento su quella che era (o che sarebbe potuta essere) la mia carriera perché Fine Primo Tempo è uscito 10 giorni prima del lockdown mondiale. Io avevo un tour che era già in fase di programmazione, avevo delle date segnate… Ma, riprendendo l’inizio della risposta, io in maniera tragica (ai miei amici in maniera comica ma ottimisti) dico sempre: forse è un bene che sia arrivato il Covid, perché non so come sarebbero andate le date di quel tour sinceramente. Perché quel disco, nonostante fosse stato comunicato attraverso un macchinario importante e strutturato come una major, credo che non sia stato un trionfo. Io credo che per certi artisti (non per tutti) vince o perde la musica. Siccome per me è sempre stata al centro del mio personaggio, io credo che quel disco non sia stato così tanto trionfante, a livello di pareri, di critica. Quindi forse, l’essere stato a casa in quel periodo mi ha evitato dei flop pazzeschi. Come ti dicevo, le persone a me vicine mi dicono “forse non è così, sei un po’ esagerato”. Vivo con questo dubbio, che sono contento che sia rimasto un dubbio. Il prezzo che ho pagato invece è stato tutto quello che mi è capitato: il tracollo»

Però vista dall’altra parte, probabilmente non saresti arrivato a pubblicare questo disco…

«Indubbiamente!»

Che secondo me è uno dei migliori che tu abbia mai fatto. Quindi paradossalmente sono “contento” di come siano andate le cose. Alla fine la musica ha vinto!

«Sì, è un po’ presto per dire che abbia proprio vinto, però diciamo che i segnali sono buoni»

Egreen 2022

Secondo te quel è stata la cosa che è mancata al tuo disco in major? Alla fine, le produzioni sono ottime, non si è trattato assolutamente di un brutto disco. Forse si distaccava un po’ da quello che era la tua discografia…

«Sì, ammiccava al presente»

Che non è una cosa sbagliata…

«No, però purtroppo penso che ognuno sia figlio del proprio tempo. Specialmente gli artisti. Provare a fare delle forzature non ha pagato. E sono forzature che ho voluto provare a fare io, che dicevo “fammi provare su queste sonorità queste ritmiche, queste batterie…” Per quanto mi riguarda, a livello tecnico, di esecuzione, io mi reputo abbastanza impeccabile. Quello che forse non è andato in porto è che molta gente si mangia il panino di McDonald’s perché se lo vuole mangiare. Ma sa distinguere una lasagna fatta in casa da un panino di McDonald’s. Quindi io credo che inconsciamente la gente abbia detto: questa non è la roba che vogliamo da Nicolas. Non l’ha detto con cattiveria. Paradossalmente ho avuto la fortuna di non avere troppi feedback negativi. Nella mia vita artistica (da 20 anni a questa parte), quando ho fatto qualcosa che non andava, mi sono scontrato con il silenzio. Non mi sono scontrato con le critiche. Certo, ci sono sempre quei 3-4 coglioni che parlano a caso. Ma sono pochi di fronte al silenzio. Quindi è del silenzio che devi rapportarti. Ed è quello che secondo me è successo. Ad un certo punto c’è stato il silenzio, poi c’è stato il Covid e tutto il resto. Invece di questo disco la gente ne sta ancora parlando: sto facendo interviste, stanno dicendo cose incredibili, ho le date che stanno andando benissimo…»

A proposito, questo disco esce totalmente da indipendente e sei tu a curare il progetto al 100% sia dal punto burocratico che organizzativo, come il merchandaising, le copie fisiche… Abbiamo letto anche da altre interviste i problemi che ci sono stati a livello di gestione economica della major. Quanto è faticoso in Italia fare un lavoro come il tuo nel 2022? È uno sbattimento incredibile?

«Si, bro, è uno sbattimento incredibile!! Prima stavo riguardando una video-intervista, nel frattempo mi ha scritto lo stampatore per dire che in una certa data arriva della roba che ho fatto stampare, poi ho dovuto sentire un’altra persona per altre cose… è proprio una roba senza fine. E si protrarrà ancora per tanto. Essendo autoprodotto, nel momento in cui esce il disco è il culmine. Però io devo fare ancora una valanga di lavoro! Comunque io sono contento, mi sono cercato da solo questa situazione dovuta come dicevi tu da quello che hai letto in giro, da una necessità mia di rimettere la palla al centro, quindi non mi lamento più di tanto. Però sì, il lavoro è molto»

In un disco così personale come Nicolàs non ci sono featuring e ci sembra una scelta giustissima. Al contrario, in Fine Primo Tempo c’erano diversi featuring, anche di rapper con background molto diverso dal tuo. Com’erano nati certi featuring e che rapporti hai oggi con loro?

«Il mondo è cambiato con il Covid e il modo in cui ci rapportiamo con i nostri simili è irrimediabilmento cambiata, credo. Però ad esempio io ero (e sono) un gran fan di Rico, con cui abbiamo fatto Milano-Falcao. Secondo me lui in quella roba lì ha un perché: ha personalità, è forte, spacca! Idem per Vaz Tè, anche se mi sono perso cosa stia facendo in questo momento perché sono troppo concentrato sulle mie cose. Però lui è una delle punte di diamante di tutta la nuova scena ligure. Con Highsnob abbia avuto un approccio umano a Milano, ci siamo gasati l’uno con l’altro e abbiamo detto: facciamo sta follia, facciamo un pezzo insieme! Dium, con lui andiamo indietro di anni… Lui è di Adria Costa e io con i ragazzi veneti sono molto legato. Con Axos, stima artistica reciproca. È andato un po’ così… a me piacciono anche i pezzi di quel disco, però rappresentano per me un periodo talmente brutto che non riesco a godermeli. Però sono molto felice di tutti i featuring di quel disco.»

È inevitabile continuare a fare paragoni tra Nicolàs e Fine Primo Tempo. Anche dal punto di vista delle produzioni, quelle di Nicolàs sono tutte eccellenti con un ritorno a un sound più “classico”. L’idea che avevo io, da ascoltatore, rimarcava un po’ lo stereotipo per il quale un artista che entra in major, venga indirizzato a fare un disco con un certo tipo di suono, un certo tipo di featuring, snaturando quello che era l’artista stesso. In realtà da come mi stai dicendo non è stato così!

«No, per niente! Io ho sbottato, ho fatto il singolo sbagliato, avevo delle produzioni diverse… Io sono arrivato in Sony con il disco pronto e impacchettato. Loro mi hanno solo detto “Crediamoci”. Io gli dico grazie, perché comunque con loro mi sono trovato bene. Ho anche imparato tanto, facendo degli errori di negligenza mia. Da alcune cose che sono successe anche a livello operativo ho capito che quella è una macchina molto più strutturata, che ha dei knowhow, che vive di vita propria. Sono io che non mi sono fatto trovare pronto dopo una vita da indipendente, da autonomo, a conduzione familiare, abituato a lavorare con la gente che mi ha sempre dato una mano… Mi sono trovato spiazzato da alcune cose. Ma la cosa assurda è che io quel disco lì lo avevo già pronto: era già fatto! La partnership con Sony è stata quasi una casualità in un momento in cui avevo forse le idee meno chiare o ero confuso. Il paradosso è che Sony non ha spostato l’ago della bilancia sulla fattura di quel disco»

Una cosa che mi è piaciuta tantissimo di questo disco sono i tantissimi riferimenti alla scena rap italiana, citando nomi di rapper, dischi, concerti che hanno influenzato la tua musica. Praticamente racconti l’evolvere della tua carriera affianco all’evoluzione della nostra scena. Fino a che periodo hai seguito la scena italiana e fino a che periodo ci hai visto dei punti di riferimento? 

«Guarda, a me piacciono Nex Cassel, Montenero e basta praticamente. Io sono fan loro. Nel rap italiano non c’è più quasi niente che mi stimoli. Questo perché io arrivo da una generazione che davvero ha mangiato, bevuto, mangiato, scoreggiato, pisciato, cagato e vomitato rap italiano colazione, pranzo e cena per anni. È ovvio che gli anni in cui io ho avuto quell’ossessione per il rap italiano erano 20 anni fa. Per noi che avevamo il sogno di poter fare questa cosa un domani, era proprio un ossessione. Eravamo ossessionati. Io nei miei dischi ho citato Fibra (di un certo periodo) innumerevoli volte, e lo cito anche in questo disco nel pezzo Non mi scordo. Inizio la seconda strofa dicendo: “una cosa è fare le cose per sé tessi, una cosa da sé stessi per gli altri”. Fibra, con Neffa, forse è quello che ho citato di più nella mia vita. Quindi ti dico: sono un po’ saturo del rap italiano. Non ho molto interesse, però c’è gente veramente che spacca. Io sono un grande fan di Guè. Per me lui è il king totale. Lui è la rapstar italiana, punto. Poi è ovvio che non mi vado a sentire la discografia di Guè o dei Dogo tutto il giorno, però è una stima e un rispetto che ha un valore totalmente diverso, ne migliore ne peggiore di quello che quando esce un disco se lo impara a memoria. Questa è gente che so che c’è un motivo se sta dov’è. È gente che viene da dove vengo io, che ha fatto la gavetta poi le strade sono andate diversamente. Io ascolto rap americano, roba di Londra, rap spagnolo, sudamericano… Non mi interessa molto quello che succede in Italia.»

E quindi chi sono i tuoi preferiti di rap straniero in questo momento?

«Della gente abbastanza sconosciuta. Per esempio un gruppo della Virginia che si chiama The Opioid Era, che sono molto forti. Un canadese che si chiama Daniel Son che mi piace moltissimo. Gli spagnoli: l’ultimo mixtape di Tote King è pazzesco, N-Wise Allah, Lou Fresco dal Venezuela… Ho conosciuto dei colombiani pazzeschi…»

Io sinceramente non li conoscevo…

«Tote King è tipo il Clementino spagnolo. Il rap spagnolo ha fatto un salto pazzesco. Anzi, proprio il rap iberico, della Spagna: fanno delle robe incredibili. C’è questo ragazzo di Madrid di colore che si chiama Ergo Pro che mi fa decollare. Un altro tipo si chiama Delaossa e mi fa volare!! Ho l’orecchio da un’altra parte»

Torniamo sul disco. Ne approfitto per chiederti spiegazioni su una barra bella intensa che non ho capito: sono morto 4 volte in 37 anni. A cosa è riferito esattamente?

«Eh fra, sono successe delle robe non belle per le quali mi sono ritrovato a terra e ho dovuto ricominciare da capo. Sta roba è successa per via delle sostanze quando ero giovanissimo. Ho avuto un’esperienza con le sostanze e mi sono molto legato ad una persona che era 10 anni più grande di me. Io avevo 15 anni e ci ho dato dentro parecchio per un paio di anni a caso. Quella roba lì è stata una di quelle cose in cui appunto alla fine… Ma in Incubi quella cosa la racconto! E poi tante situazioni in cui non sono stato molto bene di testa e in cui appunto sono morto. 4 volte.»

Penso che sia difficilissimo conciliare sia la parte tecnica di fare rap bene e conciliarlo con dei contenuti difficili da tirare fuori. Questo è un valore aggiunto al tuo disco, non sono barre e basta. Alle spalle c’è un lavoro atto a liberarsi dei propri demoni, con la propria introspezione. È una cosa, che forse per maggiore esperienza, riescono a fare molto meglio i rapper più maturi. Hai detto che non ascolti quasi più rap italiano, ma Don Diegoh ha fatto da poco un disco super-introspettivo e mi è venuto da fare un paragone. Anche lui ha avuto momenti molto difficili, che ha messo in rima.

«Don Diegoh in una maniera intellettualmente applicata ad un certo tipo di scrittura, credo che abbia una penna incredibile. Detto questo non ho sentito il disco. Ci sono cose sue che mi hanno emozionato molto in passato, quando avevo una maggiore attenzione per il rap italiano. Sinceramente ora preferisco ascoltarmi il pezzo nuovo di Pusha T prodotto da Kanye. Ho già riflettuto tanto con il rap italiano, mi sono fatto i viaggi, ho ascoltato dischi che mi hanno cambiato la vita ma ho davvero l’orecchio da un’altra parte. Voglio citare a tale proposito un pezzo veramente incredibile di Don Diegoh, con Madness, tra l’altro. Se c’è una roba che mi piace essere è obiettivo, specie se si parla di rap. Il pezzo è Ci Siamo Persi

Con Don Diegoh e Madness per altro avevate condiviso il progetto Carati, che magari i più giovani non sanno neanche cosa sia, dato che ormai sono passati quasi 10 anni. Io mi ricordo il Carati Live a Bologna come uno degli eventi più belli a cui abbia mai partecipato, interminabile e incredibile! Quel progetto lì, come era nato? Eri quindi tu la mente dietro al progetto?

«Sì, lo dico anche nel singolo, non direi una roba non vera! È una roba che è partita da me con l’idea di tirare in mezzo più gente possibile sotto l’anonimato poi è diventata una cosa di collettivo. Fino a un certo punto è andata bene, poi basta.»

Un’altra cosa molto figa di Nicolás secondo me è la scelta di mettere l’Intro come ultima traccia e aprire il disco con quella che probabilmente è la traccia più profonda. È una cosa molto particolare, che mi ha fatto un po’ pensare a Kendrick Lamar che aveva fatto la riedizione del disco invertendo la tracklist per dare un senso diverso…

«Sì, parli di DAMN.. Sì, è stato il consiglio di una cara amica che mi ha detto “Prova a fare così“. Questa roba arriva dopo un consiglio, ma rappresenta proprio la fine che è all’inizio. Una roba neanche troppo trascendentale, però mi è sembrato figo fare così. L’inizio come fine e viceversa. La fine come inizio e viceversa.»

Il mio parere personale è che la scena italiana non abbia mai riconosciuto appieno quello che tu hai fatto per questa musica. L’impressione è che tu sia sottovalutato dai tuoi colleghi. Questo sia dal punto di vista tecnico dove sei impeccabile, sia dal punto di vista di marketing. Ad esempio con il crowfunding con cui hai un record che credo sia ancora imbattuto,  oppure con altri sistemi con i quali ti sei fidelizzato i fan, tipo il canale Telegram. Magari hai un pubblico più ristretto, però con un legame indissolubile! Dal punto di vista teorico hai tutto: tecnica, flow, pubblico fedelissimo. Cosa ti è mancato, per fare uno step in più, come dicevi prima, per essere come Guè, per dire?

«Credo che sia dovuto a certi aspetti legati al personaggio. Dare la priorità a certe cose piuttosto che ad altre. Essere la persona giusta nel luogo giusto al momento giusto. I fattori sono tantissimi. Alla base credo che comunque ci sia che non ho mai voluto scendere al compromesso di semplificare il mio linguaggio. Io credo che questo faccia la differenza. Guarda Fibra. Lui ha un certo punto ha preso il machete e ha completamente deforestato la complessità della sua concezione creativa dei testi. Questa non è una roba facile da fare. E noi del rap di un certo tipo siamo tutti fissati con schemi metrici di un certo tipo. Con degli elementi tecnici quasi maniacali. C’è chi riesce, chi riesce meno o chi non riesce. Però credo che stia tutto nella semplificazione del linguaggio alla base, poi in tutti quei fattori che a volte sono compromessi, a volte sono scelte, a volte sono fortuna, a volte sono lavorare con le persone giuste. Io non mi sono mai tenuto dentro delle cose… ma non è questo il motivo. Sono tantissimi fattori!»

Concludo rifacendoti i complimenti per il disco. Spero che al pubblico piaccia quanto è piaciuto a me!

«Non ci resta che spingerlo, supportarlo e spammarlo! I biglietti stanno finendo e sono contentissimo!»

Dopo queste 3 date, ne hai altre in programma?

«Abbiamo il calendario aperto in fase di booking. Io mi sto anche autoproducendo le date, per ora, in attesa di capire che cosa succede. Sono felicissimo così ma ci vado con i piedi di piombo perché ti dico la verità: non so come sono posizionato sul mercato. Quindi calma e vediamo cosa arriva. Shocca mi ha dato una gran fiducia a credere nel progetto. Io voglio fare bene e vediamo cosa succede: un passo alla volta!»

Sperando che vi sia piaciuta la nostra intervista ad Egreen, vi lasciamo di seguito il link per ascoltare il disco da Spotify!