Gli album stanno diventando troppo lunghi

album lunghi

Ultimamente gli album sono sempre più lunghi. Nel mondo hip hop si stanno presentando di anno in anno tracklist sempre più massicce e prolisse. Ciò definisce senza dubbio una caratteristica dell’hip hop di quest’era musicale.

La domanda che sorge spontanea è: perché gli album ora sono così lunghi? 

Gli storici album doppi dell’hip hop

Fin dagli anni ’90, tra i più grandi dischi classici del rap americano, svariati presentavano il formato di doppio disco. Esempi sicuramente cult sono All Eyez on Me di 2PacSpeakerboxxx/The Love Below degli OutKast, Wu-Tang Forever dei Wu Tang e Life After Death di Notoroius B.I.G..

Questi dischi con la loro massiccia durata, e la provocazione presente nelle liriche esplicite, rappresentavano perfettamente l’ambizione presente nel rap game di allora, dove lo spirito competitivo dell’hip hop delle gare di freestyle era proiettato nei dischi più di successo del genere.

La grinta del rap portata negli anni ’90 ha rivoluzionato interamente ogni settore della musica black, rappresentando la fame e la necessità di rivalsa della cultura afroamericana. La ramificazione di ciò in altri settori di musica black è dimostrata col disco del 1998 del cantante R&B R. Kelly, R., un doppio disco di 32 tracce, dove collaborò con Nas, Cam’RonNoreaga, Jay-Z ed altri.

Perfino lo storico cantante Prince nel 1996 se ne uscì con un disco chiamato Emancipation, contenente 36 tracce, addirittura rappando in svariate tracce, tra cui nel memorabile singolo Face Down.

Com’è tornata la tendenza dei doppi dischi e perché

Nel 2017 il panorama musicale era completamente un altro ed iniziava significativamente ad essere soggetto all’arrivo impetuoso di streaming e musica trap.

Volendo probabilmente ricatturare l’ambizione e la maestosità dei doppi dischi urban degli anni ’90, la superstar dell’R&B Chris Brown esce con Heartbreak on a Full Moon, contenente ben 45 tracce, dove l’artista dipinge il suo viaggio nel dolore a seguito di una separazione amorosa. L’artista ha affermato che col disco voleva superare le aspettative” e “spingere i confini dell’arte“. Il disco venne lodato dalla critica, oltre che per i suoi valori musicali, per la sua audacia e ambizione. Commercialmente diventa disco d’oro in una settimana, ciò non succedeva ad un cantante R&B maschio da 15 anni. Alla più celebre delle riviste di economia, Forbes, non sfuggì questo successo di vendite, ed analizzarono subito il motivo:

Con 45 canzoni nella sua tracklist, Heartbreak on a Full Moon, può raccogliere una notevole somma di streaming. A livello di streaming, 150 persone che ascoltano un disco di 10 canzoni, è uguale a 33 persone che ascoltano un disco di 45. Brown chiede molto con un disco del genere, ma non è una proposta assurda. Tra i suoi più grandi fan e ascoltatori occasionali, è altamente possibile che molte migliaia di persone ascoltino l’album in streaming per intero, e quei numeri aumenteranno rapidamente.

Quindi più canzoni ci sono in un disco, più il disco fa streaming. Più streaming fa il disco, più il disco vende.

La notizia si espande a macchia d’olio, tanto che a pochi mesi dall’uscita di Heartbreak, i Migos escono con Culture II, e Drake con Scorpion; entrambi doppi dischi. I due album ottengono vari dischi di platino, ma la critica ne stronca la lunghezza, considerata innecessaria.

La lunghezza dei dischi è un bene o un male?

A seguito di queste uscite, gli album lunghi sono diventati un must per quasi ogni rapper. Lil Uzi ha aggiunto al suo album Eternal Atake, di 18 tracce, una riedizione intitolata Lil Uzi Vert vs. the World 2, che le trasformò in 32, soltanto così il disco divenne disco di platino. Pegasus di Trippie Redd, 40 tracce, massacrato dalla critica. Funeral, di Lil Wayne, 32 tracce, criticato per la sua lunghezza dal pubblico generale. Il tutto sta diventando un film già visto.

Nell’album più discusso dello scorso anno, il tanto lodato quanto controverso Donda di Kanye West (32 tracce), il rapper ha messo 4 tracce in due versioni diverse, così che risultassero 8, accumulando streaming.

Che tutti questi ascolti materializzati in vendite portino in alto alle classifiche la musica rap può solo che far piacere a chi la segue e ne è appassionato, però la qualità della musica forse ne sta risentendo un po’ troppo.

Se l’intenzione inizialmente fosse quella di riportare l’ambizione che sta alle radici dell’hip hop nuovamente nel mainstream, il tutto si è trasformato in una becera tattica di marketing che nuoce la qualità dei dischi. Sebbene dei meravigliosi ed inimitabili dischi siano usciti con questo formato, ultimamente troppi fungono da chewing gum. Mastica, assapora, sputa, e dimentica.

Certi dischi fanno da contrapposizione alla nuova regola degli album lunghi

Allo stesso tempo, ci sono dischi che fanno da antitesi al nuovo canone di lunghezza; perfetto esempio sono le cosiddette Wyoming Sessions del 2018, prodotte dello stesso Kanye, che fornirono i dischi Daytona di Pusha T, Nasir di Nas, Keep That Same Energy di Teyana Taylor, il joint album Kid See Ghosts con Kid Cudi, ed il suo (ad oggi) omonimo album Ye: tutte pubblicazioni con meno di 10 tracce.

Sebbene la risposta a questi album sia stata polivalente in tutti gli ambiti, hanno funto da mossa in controtendenza, che oltre a rappresentare l’attitude punk di Kanye, ha mostrato in parte, con dischi come Daytona, che l’ambizione e la qualità non sono solo questione di quantità, ma anche di contenuto.

Lo stesso anno un’altra dimostrazione fu data dall’acclamato liricista J. Cole col suo disco KOD, che con 12 tracce è riuscito a variare in molteplici temi sociali e sonori, spaziando tra jazz rap e trap, dando esattamente il minimo quantitativo di tracce necessario, per un risultato innegabilmente buono.

Sicuramente bisogna anche dare credito al fatto che un breve incisivo ascolto può non avere l’effetto di un lungo profondo viaggio, e i migliori tra i doppi dischi elencati lo hanno dimostrato nella loro magnificenza, ma quando questo paragone non regge automaticamente il tutto si trasforma in: meglio un breve piacere che un lungo tedio.

In conclusione non è azzardato dire che un’augurio che ci si può fare a riguardo delle nuova tendenze urban possa essere “qualità piuttosto di quantità”.