Il nuovo album di Murubutu o del tempo della pioggia

Murubutu

Svelando traccia dopo traccia il manto piovoso steso dall’artista, risplendono le singole gocce disseminate lungo l’ascolto che, come vere gemme, riflettono le miriadi di scelte andate a costituire Storie d’amore con pioggia di Murubutu: ecco la recensione di Rapologia.

Storie d’amore con pioggia di Murubutu è un viaggio caleidoscopico

Vi è mai capitato di entrare in chiesa, trovarvi in mezzo al consueto coro parrocchiale che oggi tende a tonalità apocalittiche e all’improvviso percepire dei bassi drill che scuotono il sagrato? Immagino di no, ma c’è da ringraziare il produttore James Logan perché è questa l’immagine che regala la base di Ode alla pioggia (intro). E insieme a Logan, ovviamente, estendere il ringraziamento a Murubutu, che ha scelto tale tappeto sonoro per esibirsi in extrabeat e richiami alla pioggia.

Questa è l’introduzione all’album.

Come di consueto il professore veste i panni del poeta rivolto alla musa del nuovo ciclo, la pioggia, e abbaglia con una tempesta descrittiva che si blocca solo al cospetto di un ritornello tambureggiante. La complessità di testi ed incastri non ci giunge certo nuova, ma quella strumentale sorprende e annuncia senza remore un progetto di ibridi sul filo tra classico e moderno, hip hop e melodico.

Eppure che l’artista reggiano stesse sperimentando lo si avvertiva distintamente già dall’album precedente, Tenebra è la notte, in cui una concezione musicale più leggera e ricercata accompagnava talvolta le strofe penetranti del progetto. Ma è la pioggia a spingere più in là questa tendenza, essendo essa stessa musica e armonia, tessendo suoni dolci e tetri delle nostre giornate.

Rimbomba nell’etere, la sua sinfonia
la pioggia che scende ha una sua melodia
quest’onda di gemme crea una sua armonia
ritorna a risplendere e poi ti porta via

Storie d’amore con pioggia gioca su più campi: a livello stilistico congiunge flow coinvolgenti a toni a tinte pop e ritornelli martellanti, mentre sul piano strumentale alterna realtà classiche, derive trap e basi delicate.

Come scrivevamo, l’album ha due anime, o forse molte più, nell’ampiezza dei multiversi armonici disegnati dall’atmosfera uggiosa e di cui Il migliore dei mondi è manifesto.

Sembra semplice, no? Una variazione sul tema dell’innamorato che ha perso l’amata e si rivolge disperato alla natura. Eppure dentro troviamo di tutto: una storia d’amore che non fa che finire, un protagonista che domina le leggi dello spazio-tempo ma senza successo, sviluppi fantascientifici e citazioni letterarie, nostalgia affranta e memorie condensate in una vecchia fotografia. Un compendio di temi che si mostra in un singolo quasi radiofonico (anzi io ce lo vedrei proprio bene in radio) e sembra lasciare da parte l’azione della pioggia.

Sembra, perché Murubutu ci ha raccontato che qui le gocce hanno funzione di vettore spazio-tempo e, in effetti, evocano l’immagine di un Doctor Strange proveniente da chissà quale futuro che ritorna in mezzo al temporale per risolvere qualche crisi mondiale.

In quest’album il viaggio spazio-tempo è possibile, ma come viene trattato il tempo stesso al di là degli effetti speciali?

Il tempo come sottotema del disco

Il colloquio col tempo nella nostra esperienza è costante, tanto che Murubutu avrebbe voluto scriverci un album a riguardo. Beh l’ha quasi fatto.

Nel disco il tempo assume una miriade di ruoli, da quelli più lontani a noi come il viaggio all’indietro negli anni ne Il migliore dei mondi, a tematiche dolorose e condivisibili come il lenire di una ferita profonda in Temporale. Il passato è memoria, scenario di eventi dimenticati e film di ricordi accesi dalla pioggia, l’agente atmosferico per eccellenza in materia di dilatazione temporale.

Mentre cade dall’alto, l’istante si ferma e comincia ad espandersi, lasciando che i sentimenti e le emozioni si propaghino nell’aria intorno a noi. Gli scrosci dell’acqua insomma ci portano nel passato, ampliano il presente e talvolta ci catapultano verso un futuro oscuro.

Black Rain parte 1 e 2 introducono e sviluppano temi sociali e tecnologici attuali in fotogrammi estrapolati da Blade Runner e 1984.

Una base cupa e distorta, un mondo dalle incontrovertibili disuguaglianze sociali, dominato dall’alto da un governo-culto irraggiungibile. La pioggia nera assimila la paura presente per l’inquinamento inarrestabile, lo spettro della dittatura, il ticchettio che fa impazzire (come ripete Pioggia infinita) e li scaglia in un futuro vicino. La colonna sonora è l’insieme in costante espansione di opinioni (diffuse dai social e non) che sciama come un complesso di gocce e diventa rumore di sottofondo.

Collaborazioni e nuove forme

Come rumore in sottofondo sono le opinioni di chi non apprezza la grazia di Nuvole con Dia e Lion D. Una ballata morbida che avvolge in fantasiose metafore e ci restituisce la pioggia come promessa e climax. Questa canzone rende palese l’effetto esaltante che possono avere i featuring sulla sonorità e la scrittura di Murubutu, qui brillante e rinnovato.

Certo En?gma e Moder sono perfetti per le rispettive tracce, Rancore e Claver sbalordiscono per i testi, Inoki e Mattak portano tecnica e fotta, ma forse è questo l’episodio in cui i collaboratori fanno svoltare la canzone.

Dia e Lion D fanno venire voglia di danzare, nonché si dimostrano eccellenti nell’esaminare la sensazione mista di serenità e tristezza che accomuna nuvole e pioggia.

Now Jah Jah fall the rain and me no complain
Ah, no every day is a sunny day
It’s just balance between heart and brain
Joy is mixed with pain
Do you feel the same too?

La voglia di nuove forme del rapper lo spinge inoltre a buttarsi nelle acque scure della trap di Logan (come da Infernvm). 

Ormai si può dire senza ombra di dubbio che i flow del professore sono un tutt’uno con questo tipo di sonorità moderna e l’evasione tematica dai confini del genere dà grande stimolo per lo sviluppo di tutti gli artisti del campo.

Il connubio si traduce e consolida in Legio XII fulminata e Diluvio universale. Proprio quest’ultima, sotto forma di mito biblico, non manca di accennare ad un’altra questione molto attuale: le alluvioni sempre più frequenti, particolari del noto ed esteso cambiamento climatico globale.

Depressione e salvezza

Corollario delle crisi climatiche che il nostro pianeta sta soffrendo e soffrirà è un’ansia generalizzata, prevalentemente giovanile e complicata da gestire. Sono in effetti innumerevoli i motivi che possono portare ad una scelta come quella di Greta, la ragazza protagonista di Une chrononaute à Paris, che si isola nella sua camera, proponendo un patto alla finestra. Che essa si apra solo nei giorni di pioggia, quando lo stato d’animo del mondo sembrerà accodarsi a quello di Greta, mentre nei giorni restanti potrà restare chiusa, difesa e protezione dal sole e da se stessa.

Il brano esplora la depressione giovanile e l’isolamento, facendosi testimone di un’incomunicabilità rotta solo dall’ingresso del secondo personaggio (no spoiler in questo caso), la quale aiuterà la ragazza ad aprire la finestra anche nei giorni più assolati, riprendendo a vivere ed esaltarsi.

É sempre utilizzando la pioggia come circuito di trasmissione e il tempo come mezzo che le figure principali di Une chrononaute à Paris e Temporale combattono e superano in parte la sofferenza, ritrovando appigli nel quotidiano.

La vedova di Temporale torna dopo anni dalla morte del marito al vecchio borgo marittimo in cui era nata, aveva abitato e aspettato. Il richiamo della nostalgia e delle radici era stato rimosso per un lungo periodo, allontanato proprio per non permettere che si saldasse al dolore subito, ma la protagonista sceglie di ricongiungersi con quel mare e con quella memoria.

Come nel celebre esempio di Diluvio universale, ci chiediamo se la pioggia sia sinonimo di salvezza insperata o di punizione brutale. Di nuovo torna quel sentimento a metà, alternato tra calma e malinconia, scandito dalle gocce sul terreno.

Il ripetuto lieto fine inserito da Murubutu in diverse tracce ci suggerisce però una risposta leggermente protesa verso la salvezza. Pure qui possiamo trovare riscontri nel lungo titolo dell’album: le storie d’amore, perfetto terreno di scontro tra sofferenza e gioia, rappresentano un perno su cui poggiare per questa ricerca di scampo dalle asperità.

Ascoltiamo di un amore di coppia, atteso e ritrovato, nel mezzo di una notte in cui i muri si scoprivano friabili (Markus ed Ewa) e di un amore autoconservativo verso se stessi e verso la propria terra, che permette di risalire la china da un fondale scivoloso. Poi capitiamo in un caleidoscopio di prospettive, una fantasia d’amore multiplo cantata in Multiverso e riversata in Pentagramma dell’acqua. Già perché qui riconosciamo un Murubutu ammorbidito che sa parlare d’amore con rinnovata levità e ironia e a cui piace farlo.

Le basi lievi, spesso chitarre e corde, fanno da sfondo alla voce profonda, ma usata in punta di piedi, spingendo ai limiti della sua discografia la sperimentazione vocale. Lo studio di una voce e scrittura alternativa potrà non intrigare alcuni fan del professore (pure io non trovo questi episodi tra i migliori del disco), ma è un tratto essenziale per un artista che vuole ribadire la sua capacità creativa tanto nell’ambito dei testi e temi, quanto in quello del sound.

Mancanza

Un’ulteriore dimensione delle storie d’amore è il confronto rispetto la perdita di esse o della persona cara.  Già ne Il migliore dei mondi la perdita dell’amore, l’abbandono e la mancanza guidano le azioni del giovane scienziato. Il viaggio nel tempo scandaglia le possibilità di un ritorno alla relazione, ma risulta in un loop controproducente, esattamente come il continuo osservare di quella foto che denuncia il passato e lo abita al contempo.

Non è dentro una foto, ma nella pioggia al di là della finestra che si annida la nostalgia di Ode alla pioggia (outro).

L’album si conclude con uno dei brani più sentiti, in cui la mancanza canta con voce rotta e l’istinto impressionistico di Murubutu trema in dettagli gonfi di significato. Quel sole in terracotta alla parete sostituisce quello reale durante i temporali, funge da protezione e guida nel mondo parallelo del ricordo, terra delle cose che mancano.

Montale in Piove terminava con:

Piove ma dove appari
non è acqua né atmosfera,
piove perché se non sei
è solo la mancanza
e può affogare.

E ci può essere tanto affogare nei lunghi periodi in cui il tempo sembra scorrere solo all’esterno di camere in quarantena e vite in standby. Momenti in cui la pioggia di Murubutu colpisce in faccia, accarezza le orecchie e non può che farci del bene.