Sperimentazione musicale e carica fantascientifica – Intervista a Murubutu

Murubutu

Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali è finalmente nelle mani di tutti e noi, che abbiamo avuto la fortuna di ascoltarlo in anteprima, possiamo attentare al passo successivo: parlarne direttamente con l’artista in questa intervista a Murubutu.

La pioggia in tutte le sue prospettive dilata l’esperienza dell’album

Purtroppo non piove sui tetti mentre parlo con Alessio Mariani al telefono, eppure avrei sperato di estendere l’emozione di questa mia prima intervista. E chissà, forse neanche avrei percepito il ticchettio delle gocce, concentrato sulle parole del professore, tentando di mantenere una compostezza che non mi apparteneva.

Abbiamo parlato di pioggia appunto, ma pure di fantascienza, storie d’amore, depressione, ricerca vocale e strumentale, distopie e nostalgia, tutti temi concentrati nell’ultimo lavoro di Murubutu, che vi consiglio di ascoltare prima di continuare con l’articolo.

É stato veramente un piacere per me confrontarsi con un grande artista e una persona squisita come Alessio Mariani e spero sarà interessante per voi leggere quello che mi ha risposto, buona lettura!

Complimenti per l’uscita del nuovo album Storie d’amore con pioggia, è stato un piacere ascoltarlo in anteprima. Vorrei iniziare facendoti la consueta domanda riguardo il tema comune delle tue canzoni, in questo caso la pioggia. Come lo hai scelto e c’erano in ballo altre possibilità?

«In realtà io volevo fare un album sul tempo, avevo già in mente anche di inserire lo scandire delle lancette tra i brani, poi però quando ho provato a scrivere mi sono confrontato con una tematica molto profonda che mi ha fatto un po’ paura. Perché il tempo può portarti a riflettere sui tuoi limiti e le tue prospettive di vita, quindi non è una tematica facile da affrontare a livello personale. Quindi ho pensato di mantenere il tempo come sottotema e utilizzare un filo conduttore più “leggero” e ambientale come la pioggia»

A proposito dei tuoi temi di partenza, mi ha sempre interessato approfondire il funzionamento del processo creativo. È evidente che scegli di vincolarti ad un elemento naturale (mare, vento, notte, pioggia) come filone comune per restringere in un certo modo gli orizzonti della narrazione, ma questa limitazione incanala in pratica la scrittura verso un terreno fertile ed una coesione più naturale. Cosa mi puoi dire del tuo processo creativo? Come ti aiuta e come ti appoggia questa scelta?

«Scegliere un elemento ambientale mi aiuta ad adottare degli scenari: essendo io un “paesaggista del rap” che dedica molto spazio alle descrizioni ambientali, connotarle in un certo modo mi aiuta a restringere il bacino di descrizioni possibili. Inoltre è chiaro che il concept è un limite, ma anche una libertà: esso mi vincola e a volte restringe le possibilità, però allo stesso tempo il concept mi spinge su strade che diversamente non avrei mai percorso. Mi permette di scoprire traiettorie e percorsi che mi sarebbero rimasti preclusi»

Riguardo Storie d’amore con pioggia, qual è la canzone che preferisci e quale il personaggio che apprezzi di più?

«La canzone che preferisco è sicuramente Multiverso, quella che è più lontana dai miei canoni, in cui ho sperimentato di più a livello vocale, ma anche di scrittura. È una canzone fortemente melodica con una sonorità che mi piace e che canto molto volentieri. Dal punto di vista dei personaggi forse il giovane scienziato innamorato de Il migliore dei mondi possibili»

Per quanto mi riguarda una delle canzoni più significative ed attuali dell’album è Une Chrononaute à Paris. Lì affronti il tema della depressione e la pioggia da una parte rappresenta lo stato d’animo della protagonista, dall’altro la invita ad affacciarsi sul mondo. Mi ha colpito in particolare la frase “vive reclusa, sta fra le sue mura, ogni dubbio le fa da scusa ed un lume le fa da luna”. Mi ricorda molto un passaggio di Pavese (in La casa in collina) e sembra ricollegarsi all’isolamento giovanile esasperato dal Covid, il quale dà strada a questa tendenza. Come hai approcciato questo argomento delicato? E qual è la tua esperienza?

«Mi fa piacere che tu abbia citato questo brano, che sarà probabilmente quello meno capito. Il brano come tu sai parla del mal sottile, cioè la depressione, e quindi troviamo sia il vissuto reale della depressione, e quindi ci sono le paure molto attuali di una giovane che decide di isolarsi, sia il tema fantascientifico. Lei riesce a guarire (come avrai notato tutte le storie, a parte quelle storiche, hanno un lieto fine) dal suo male aiutandosi da sola viaggiando indietro nel tempo, un tipo di trama che volevo sviluppare già da un po’. Sintetizzando possiamo dire che la pioggia le fa un po’ da vettore spazio-tempo, come le luminescenze facevano in Frequency. Come se il fenomeno atmosferico permettesse il viaggio nel tempo, consentendo ad una persona di rincontrare se stessa. Riguardo invece a quello che hai detto, è assolutamente vero ed ultimamente ho partecipato ad un bel festival, quello di Lecco sulla lingua italiana patrocinato da Treccani, dove abbiamo parlato proprio dell’esilio giovanile con Paolo di Paolo. Abbiamo collegato il tema che portavo io e Giolitti (il tema che portava lui) all’esperienza dei giovani d’oggi. Quindi abbiamo visto come l’esilio in passato venisse imposto, mentre attualmente è spesso autoimposto. Sono i giovani che si auto-esiliano dalla società, complici sicuramente le tecnologie»

Come sappiamo tu esplori la sofferenza umana e nel farlo spesso ti servi di storie d’amore (come dal titolo). Cosa puoi dirmi della stretta connessione tra i due?

«Certo, io penso che non esistano storie d’amore senza la sofferenza, credo che sia una dialettica inevitabile proprio. É chiaro che l’amore è mancanza e di conseguenza uno stato di dolore, che viene superato con il raggiungimento della felicità. Una felicità che però rimane instabile per vari motivi, perché una relazione non è mai lineare, ma anche a causa di agenti esterni, come ho ampiamente argomentato nelle mie canzoni. Penso quindi che ci sia un legame indissolubile tra amore e sofferenza»

Altro elemento legato all’amore e alla pioggia è la memoria e la conseguente nostalgia. Affronti il tema in canzoni come Temporale, Markus ed Ewa, in Ode alla pioggia (outro) e ne Il migliore dei mondi possibili: perché pensi che la pioggia e il paesaggio piovoso siano adatti a catalizzare queste emozioni?

«Perché penso che la pioggia, come agente atmosferico, sia un dilatatore dello spazio e del tempo: quando piove sembra che tutto si fermi e questo permette agli stati d’animo di ingrandirsi, di amplificarsi. Proviamo nostalgia e mancanza, ma anche sentimenti più positivi trovano spazio; infatti non si tratta solo di una cosa negativa, la nostalgia può produrre anche bei sentimenti, bei ricordi»

Proprio Il migliore dei mondi possibili mi sembra il manifesto quest’ultimo album, che condensa a livello stilistico un’apertura musicale più orecchiabile, leggera e raffinata e a livello tematico l’amore, la memoria, la nostalgia e una forte propensione fantascientifica. Volevo chiederti, come ti sei avvicinato al genere e quali sono le tue ispirazioni lungo tutto l’album riguardo l’immaginario cyberpunk e fantascientifico?

«Diciamo che la fantascienza per me è Jules Verne. Ho letto Asimov, Wells, Bradbury, però per me la fantascienza è Verne, cioè una lettura del futuro a partire dal passato, che non è necessariamente una deriva stinta, anzi. Dal punto di vista cinematografico invece sono legato in modo più leggero ad alcuni film, tra i quali ci sono Total Recall oppure Blade Runner, dove quello che mi è rimasto non sono tanto le trame quanto le ambientazioni. Io volevo far rivivere queste ambientazioni distopiche e ucroniche che mi affascinano, ambientandovi delle storie. Infatti Black Rain avrebbe dovuto avere un video, ma i tempi ristretti non ce l’hanno permesso. Avrei tanto voluto che il mio regista di fiducia Nikolaj Corradinov si sbizzarrisse a produrre una cosa di questo tipo»

Tra viaggi nel tempo e multiversi, ci troviamo due volte in Black Rain Land (fra l’altro un bel nome per una serie tv), un mondo che pare incarnare il peggio della nostra società: disuguaglianze incolmabili, prevaricazioni sui più deboli, inquinamento e danni ambientali, dittature e dominazione tecnologica. Qui le gocce da portatrici di mille prospettive diverse diventano webcam con cui controllare il popolo in basso, come i teleschermi di 1984. Vista la nostra esperienza giornaliera con sistemi che ci tracciano, ma anche le informazioni che abbiamo sul trattamento degli Uiguri in Cina, quanto siamo vicini alla realtà?

«Io penso che se fosse possibile l’avrebbero già fatto. Il fatto di essere perennemente osservati non dico per forza che sia un grande complotto, non ho mai questa lettura semplicistica della realtà, però penso che i milioni di telecamere che ci circondano, i milioni di sistemi di ascolto e supervisione che abbiamo tendano a creare una realtà di questo tipo. E comunque la dittatura pluviale che viene espressa nel testo è una grande metafora, non solo del fatto che c’è un dominio generalizzato che spinge la società in una certa direzione e che si serve tantissimo del controllo, ma anche che c’è la volontà di controllare le opinioni. Tant’è che nel testo si parla di devoti di Pluvio, riferimento relativo allo sviluppo di tipo cultuale di un certo tipo di potere. E questo è un tutt’uno col concetto di post-verità così vicino alla mondo contemporaneo»

Proprio in Black Rain troviamo due featuring incredibili da parte di Claver Gold e Rancore, cos’hai pensato quando Rancore ti ha inviato la sua strofa? E quale artista con cui hai collaborato ti ha stupito di più?

«Quando ho sentito Tarek la prima volta e gli ho fatto ascoltare il pezzo, gli è piaciuto subito, ma io un po’ lo immaginavo perché è il tipo di sonorità e ambientazione che è sicuramente nelle sue corde. Poi quando ne abbiamo parlato meglio, lui mi ha detto “Okay allora io adesso partirò dalla tua descrizione iniziale e poi entro con la telecamera”. E io ho detto “Ecco siamo a posto! Se entra con la telecamera il risultato non può essere che incredibile”. Ed è stato così. Lui ha una capacità di creare delle immagini e una visionarietà fuori dal comune. Invece riguardo agli altri collaboratori, era tanto tempo che volevo lavorare con Lion D, perché ascolto reggae anche normalmente, quindi è stato un vero piacere. Penso sia uno dei migliori esponenti del reggae nazionale e non solo. Poi ovviamente Dia mi stupisce sempre, penso che le nostre voci siano complementari. Io con una voce bassa quasi da orco e lei con questa voce angelica penso che insieme creino un bel contrasto. E sono anche un grande estimatore di Mattak, che penso sia forse il rapper più tecnico che abbiamo in Italia»

Aiutato anche da ottimi cantanti come Dia, Lion D e Dhany, si nota una certa sperimentazione (e miglioramento) vocale nel corso dell’album, soprattutto in tracce come Nuvole, Il migliore dei mondi possibili, Multiverso e Temporale. In particolare nell’ultima penso si percepisca una maggior delicatezza e un miglior amalgama con la produzione, rispetto al “prequel” I marinai tornano tardi. Come hai lavorato su questi aspetti della tua musica?

«Sì, diciamo che ho una voce particolare come timbro, ma è tanto che sto cercando di utilizzarla al meglio per avvicinare delle melodie, complice anche il fatto che ho sempre ascoltato dischi ibridi che univano il rap al melodico e ultimamente ascolto più soul che hip hop. Ci sono tantissime artiste, soprattutto donne, che mi piacciono: parlo di Jorja Smith ad esempio e diverse altre, che comunque hanno spesso featuring rap. E credo che questi miei nuovi ascolti abbiano influenzato la direzione più melodica che ha preso la mia musica»

L’altro aspetto prettamente musicale su cui hai svariato è un suono che costeggia musica trap e drill e presenta 808 moderni, grazie al lavoro di James Logan. Le produzioni dell’album rispecchiano gli stati d’animo dettati dalla pioggia: talvolta calma, spesso malinconia, ma anche furia. Come ti trovi, dopo Infernvm, a lavorare con questo tipo di basi?

«Guarda, è stato proprio Infernvm il momento di passaggio. Io all’inizio addirittura storcevo un po’ il naso di fronte a delle basi così “drilleggianti”, poi però Claver mi ha convinto dicendomi che va sempre con lo stesso tempo ed è un modo per provare a fare cose nuove, quindi ci ho provato con Malebranche e il risultato mi è piaciuto. Dopo ho voluto Logan come produttore dominante dell’album perché appunto volevo suoni freschi, ma pure perché, pur essendo un produttore che vira verso la trap, lui è in grado di creare delle ibridazioni molto interessanti tra il classico e l’attuale. Un esempio per me è la produzione incredibile di Ode alla pioggia (intro), dove riesce ad unire le due tensioni. Inoltre è tanto tempo che parlo ai miei studenti di rap didattico e loro mi dicono che ascoltano la trap e allora ecco qua la trap didattica!»

Questi cambiamenti in un artista rinomato e riconosciuto come te ti fanno onore e rappresentano un desiderio costante e personale di migliorarsi. Oltre a questa tendenza a sperimentare, come pensi che la sfera più intima delle tue esperienze e sensazioni di questi ultimi due anni abbia influito sulla scrittura del progetto?

«Una cosa che mi ha influenzato dal punto di vista oggettivo è aver scelto di fare l’anno sabbatico l’anno scorso; questo mi ha dato molto tempo in più rispetto agli anni normali. Questo album non sarebbe venuto alla luce così velocemente, considera che Infernvm è solo del 2020. Avere la fortuna di dedicarsi alla musica un anno intero nonostante il lockdown è stata un’esperienza che mi ha influenzato rendendomi più produttivo, più curioso e mettendomi nelle condizioni di avere il tempo per fare ricerca e per sperimentare»

Ora puoi dirci la verità, questo album sulla pioggia in un mondo sotto pandemia è un velato accenno alla pioggia purificatrice di Manzoni che libera dalla peste. A parte gli scherzi, come pensi che aiutino le tue opere in termini di interesse e intrattenimento in un periodo che torna a farsi decisamente cupo?

«Io penso che il periodo è quello che è, poi io sono sempre abbastanza ottimista nonostante tutti i saliscendi. Però non credo che in un periodo drammatico trovino posto solo opere leggere, ma dovrebbe trovare posto tutto, quindi ben venga l’intrattenimento, l’evasione e il divertimento, ma anche opere che ci fanno pensare, riflettere e danno la possibilità di reinterpretare la realtà»

Sempre sofferente del periodo potrà essere purtroppo il tour con live band che hai annunciato a partire dal 5 Marzo a Roma. Sperando che almeno il lavoro di professore sia risparmiato, credi che a quel punto sarà possibile attuare il tour?

«Qua dipende tutto dai prossimi mesi, io ovviamente non posso prevedere il futuro. Intanto non siamo nella situazione dell’anno scorso e sappiamo che i concerti per ora si possono fare; poi certo ci sono delle limitazioni e vedremo se col passare del tempo queste limitazioni saranno troppo restrittive per la realizzazione del tutto. Una cosa certa è che il tour si farà, se poi verranno rispettate le date questo non lo so dire»

Ti auguro tanta fortuna per il tour, il che significherebbe anche una situazione migliore per tutti noi. Prima di salutarti vorrei solo chiederti una curiosità, ci sarà mai occasione in futuro di ascoltare un concept album di Murubutu che, oltre ad avere un filo conduttore, racconti un’unica storia?

«È una cosa di cui ho parlato diverse volte sia con Ghemon tanti anni fa sia con Carlo Corallo ed è un progetto che mi piacerebbe intraprendere, ma, purtroppo, a me quando ci ho provato ha creato troppi vincoli. Per quanto mi riguarda è così vincolante che perde di efficacia in ogni singolo brano. Bravo chi ci riuscirà, però! Con Ghemon ne ho parlato ormai molto tempo fa, prima che avesse la sua svolta più melodica, e sapevo che aveva accantonato il suo progetto, mentre con Carlo più di recente e spero non l’abbia abbandonato, perché se c’è uno in grado di farlo è lui sicuramente»

 

Ringraziamo Murubutu e l’ufficio stampa per l’intervista e vi auguriamo un buon ascolto dell’album!