Donda di Kanye West non è una questione di numeri ma di spessore

Sono passate ormai due settimane dall’uscita di Donda, il decimo album di Kanye West che prima della sua release è stato anticipato da tre listening party indimenticabili. Stiamo parlando di uno dei geni creativi più innovativi dei nostri tempi, ed è normale che di convenzionale qui ci sia poco.

Ma, alla fine di tutto, ne è valsa la pena aspettare così tanto per avere questo disco tra le mani? La risposta è: assolutamente sì.

Da 808’s Heartbreak a Donda: Kanye West è differente dal resto

“The most beautiful thoughts are always besides the darkest”

Recitava così l’intro di Ye nel 2018, uno dei momenti discografici ed umani più profondi di Kanye West. I’m Thought About Killing You è stata infatti scritta successivamente al break down dell’artista avvenuto durante il Saint Pablo tour, che coincideva a sua volta con le infelici dichiarazioni sulla schiavitù rilasciate a TMZ ed al debito superiore a 60 milioni che lo ha quasi mandato in bancarotta.

In quel preciso momento Kanye  West toccava il punto più basso della sua carriera e forse della sua vita, lasciato in balìa dei media e dei social che hanno subito colto l’occasione per massacrarlo. Il problema è che dopo una caduta simile non era affatto certo che Kanye potesse risalire, tutt’altro: erano bastate un paio di mosse al buio per condannare “il genio più vicino ad Einstein della nostra generazione”.

Tre anni dopo ci ritroviamo invece qui con Donda, che oltre ad essere la sua decima fatica è un vero e proprio testamento di quella che è stata la sua carriera da 808’s Heartbreak in poi. Il collegamento tra i due dischi infatti sorge spontaneo nella dedica che si portano addosso, nelle atmosfere fredde ed elettroniche che lo permeano – sperimentate anche nei dischi post 808’s – e nelle liriche pregne di umanità che lo raccontano. Un altro elemento comune è il dolore che li accomuna per la prematura scomparsa della madre Donda e per il rapporto bruscamente interrotto con la propria partner, ai tempi Alexis Phifer ed oggi la ben più nota Kim Kardashian.

Nel decimo album di Kanye quei temi si ripresentano con decisione, con la moglie che ha un ruolo centrale nelle sorti del disco nonostante la loro recente separazione.  Questo almeno fino alla traccia conclusiva del disco, Come To Life, che nell’ultimo listening party tenutosi a Chicago ha segnato letteralmente una riconciliazione spirituale tra i due.

Lungo Donda Kanye parla a più riprese di Kim, processando gradualmente fasi come la frustrazione, il perdono, l’amore e il tradimento. Eppure Donda non è un disco incentrato sulla sua relazione o sulla madre defunta, che all’interno del progetto assume il ruolo di guida spirituale proprio come Virgilio fece con Dante nella Divina Commedia. La madre infatti accompagna Kanye nella sua altalena di momenti, che si susseguono in reciproca simbiosi tra stati di euforia ad altri di introspezione più cupa, che rendono bene il concetto di I Hate Being Bi-Polar, it’s Awesome e che mettono ancora una volta l’artista totalmente a nudo dinanzi al suo pubblico. Perché è sempre Kanye West l’assoluto protagonista dei propri dischi.

Dropped out of school, but I’m that one at Yale
Made the best tracks and still went off the rail

La dimensione che questa volta ci viene proposta dall’artista è forse la più spirituale di sempre se guardiamo alla sua discografia, con diversi riferimenti alla religione ed alla bibbia che erano già stati parte della sua cifra stilistica ma che con il precedente Jesus is King si sono ulteriormente consolidati. Così, mentre JIK ci racconta la conversione spirituale di Kanye il secondo ne testimonia la rinnovata vitalità artistica, non facendosi alcuno scrupolo di censurare la maggior parte delle explicit del disco o persino ad indottrinare l’ascoltatore con riferimenti biblici pur di adempiere alla sua visione.

Etichettare Donda come un disco cristiano o religioso sarebbe però una scelta infelice. Nel suo decimo disco invece, l’autore di The College Dropout eleva estremamente la sua dimensione spirituale in una chiave di lettura che si accosta molto di più all’introspezione ed alla filosofia occidentale che al pragmatismo cinico che oltreoceano va per la maggiore.

Trattandosi di Kanye viene però tutto amplificato, poiché ogni sua scelta è la diretta conseguenza di un ego smisurato, che tende ad esasperare e che lo ha portato più di una volta a trasformare le sue visioni in comportamenti ossessivi compulsivi: gli stessi che ne hanno causato i ritardi di quasi tutti i suoi dischi – a volte persino l’annullamento come in Yandhi – o che lo hanno portato a scagliarsi contro una o l’altra persona, vedi la faida con Drake. Se però il risultato di questa esasperazione sono dischi intensi come questo non si può che gioire di tanta sregolatezza.

Donda infatti potrebbe essere la somma dei dischi precedenti di Kanye post 808’s, avvicinandosi molto alla brillantezza di un disco solido come The Life of Pablo e senza per forza dover scomodare My Beautiful Dark Twisted Fantasy: per la sua durata massiccia, per la incredibile miscela di voci e artisti che vi hanno lavorato ma soprattutto per l’ispirazione ritrovata di un Kanye che stava facendo parlare di sè più per le sue uscite infelici che per la sua arte.

Le ventiquattro tracce di Donda nel contesto di oggi sono un’impresa titanica da affrontare,  le seconde parti sono forse di troppo ed un paio di tracce in meno avrebbero reso più scorrevole e fruibile l’ascolto, ma è uno di quei viaggi che quando lo finisci non sei più lo stesso.

Mama, you was the life of the party
I swear you brought life to the party
When you lost your life, it took the life out the party (Jesus)

Durante l’ascolto ci si immerge in un mondo fatto di cori gospel alternati a performance vocali e strofe rappate, ci si imbatte in momenti di nostalgia pura, soprattutto per i fan di vecchia data (ascoltare una versione ufficiale di Hurricane fa davvero uno strano effetto) o in un contributo davvero importante degli ospiti, a molti dei quali viene regalata forse la dimensione più importante della loro carriera.

E’ il caso di Vory, che con i suoi versi malinconici prende le parti della coscienza di Kanye lungo tutto il disco, o del profondo interlude firmato da Don Toliver o ancora del verso fuori di testa di Baby Keem o di quello di Fivio Foreign, che ci regala senza ombra di dubbio una delle strofe più potenti della sua carriera e sicuramente di questo 2021.

Infine, non si può non menzionare il tanto atteso ritorno del Throne, dove Jay-Z regala al disco una strofa che farebbe scuola in qualsiasi tempo. É stato bello rivederli insieme ed è anche uno dei motivi per cui Donda ha tutta questa importanza per Kanye ancor prima che per il suo pubblico.

Poco importa se i continui rinvii hanno ricevuto più attenzione della musica stessa o se il disco era già fuori un mese prima che uscisse realmente. Il decimo album di Kanye West è stata un’esperienza diversa, che ha combinato in sé diversi elementi per riuscire grandiosamente, tra listening party esosi, costumi voluminosi, ascensioni celesti, sessioni di workout in cella ma soprattutto grazie ad un immaginario solido ed ispirato che ha offerto all’ascoltatore.

Una così grande imponenza artistica e mediatica non la si vedeva da tempo nel circuito, motivo per cui Donda non può essere paragonato alla maggior parte dei dischi che esce oggi. Questo nonostante il 2021 ci abbia regalato parecchia musica interessante, tra le barre pregio di Nas e l’estro sregolato di un Tyler the Creator giusto per citarne un paio. Il punto è che si parla troppo di stream mancati, di competizione con altri dischi e di scelte opinabili per poter inquadrare bene un disco pregiato come Donda.

Non è una questione di numeri ma di spessore, umano ed artistico.

This is not the album of the year, this is album of the life

Donda è una fotografia del vuoto, che ti accompagna attraverso l’oscurità per trovare la luce al termine della notte; ma è anche una narrazione viscerale degli abissi più profondi e degli eccessi più sfrenati di una delle figure più influenti del nostro secolo. Questo nonostante la quasi totale assenza di batterie e le liriche “ripulite”, con le melodie che ormai sono un marchio tanto quanto il rap, che comunque resta sempre la sua matrice principale. E’ in questo caos ibrido che prende vita il processo di introspezione dell’artista, che parte dal peccato di Jail, lo approfondisce in brani intensi come Jesus Lord e Keep My Spirit Alive e lo termina con i commoventi versi di Come To Life, forse una delle tracce più emotive e profonde che Ye abbia mai scritto.

Terminare l’ascolto di Donda ci lascia quindi due certezze: una è la consapevolezza che album così escono davvero di rado, l’altra è che una di quelle rarità è stata proprio questa. Ed a realizzare un album simile non poteva che essere un artista gigante come Kanye West.