Magna Carta Holy Grail di Jay-Z ha cambiato il rap game?

Jay Z Magna Carta Holy Grail
Jay Z Magna Carta Holy Grail

Il 4 luglio del 2013, arrivava in tutti i negozi Magna Carta Holy Grail, il dodicesimo album in studio di Jay Z. Il disco seguiva di due anni Watch The Throne e di alcuni anni il bellissimo American Gangster.

MCHG ha diviso critica e fan base del rapper, che – nonostante ciò – è riuscito a debuttare in vetta alla Billboard Hot 200 e a conquistare un Grammy. Il valore di questo progetto musicale va, però, ben oltre i semplici numeri e le recensioni degli esperti.

Magna Carta Holy Grail: la Bibbia di Jay Z per il rap contemporaneo?

Il progetto uscì dopo una brevissima campagna promozionale. Il rapper si limitò, infatti, a distribuire un video di pochi minuti qualche settimana prima della release. Le scene del filmato lo ritraevano in studio di registrazione con Swizz Beatz, Pharrell, Timbaland e Rick Rubin, mentre spiegava il concept di Magna Carta Holy Grail.

Questi pochi minuti sono utili per capire il significato del progetto: dal titolo alla data di uscita, dalle tematiche al sound creato in collaborazione con Timbo nelle vesti di produttore esecutivo.

La copertina e la data di uscita.

Partendo dalla copertina, questa rappresenta i busti di un uomo e di una donna. Grazie ad un tweet del Metropolitan Museum of Art, si è scoperto che i corpi raffigurati appartengono ad Alfeo e Aretusa, opera del XVI secolo di Battista di Domenico Lorenzi.

Potremmo attribuire innumerevoli significati a questa scelta, ma – a mio avviso – uno si distingue sicuramente e si basa sul mito rappresentato dalla statua. Aretusa era una ninfa della quale Alfeo si era follemente innamorato. Per sfuggire alle brame del pretendente, la creatura si trasformò in un fiume. Questo disco rappresenterebbe quindi il cambiamento, il passaggio verso una nuova era: in questo senso, allora, Magna Carta Holy Grail potrebbe rappresentare la transizione verso una nuova fase della musica contemporanea. Una trasformazione lirica, musicale e visiva.

 

Jay Z Magna Carta Holy Grail
Alpheus et Arethusa, Battista di Domenico Lorenzi (XVI secolo)

Persino la data di uscita del progetto risulta significativa. Come è noto, il 4 luglio si celebra il giorno del 1776 in cui le Tredici colonie americane adottarono la Dichiarazione d’Indipendenza separandosi definitivamente dai dominii della Corona britannica.

Negli ultimi tempi, la comunità afroamericana si è fatta portavoce di una diversa lettura di questa giornata: non l’occasione in cui si ricorda la firma di un pezzo di carta da parte di un gruppo di uomini bianchi, ma una in cui si rende omaggio agli schiavi e le schiave che, con il loro sangue, hanno permesso la nascita degli Stati Uniti d’America.

Ecco, quindi, che il significato di Magna Carta Holy Grail si fa ancora più importante: un progetto musicale ed artistico attraverso il quale si vuole veicolare un cambiamento sociale e culturale che renda giustizia alla comunità afroamericana.

Il titolo.

Passando al titolo, notiamo che è composto da due parti. La prima – Magna Carta – riecheggia un documento del 1215 sottoscritto dal re d’Inghilterra, dal clero e dai nobili del tempo. Questi riconoscevano reciprocamente i propri diritti ponendo delle restrizioni al potere del sovrano: un elenco di vere e proprie regole che avrebbero regolato la società inglese a partire da quel momento.

Come anticipato da Jigga stesso nel video, MCHG vuole riscrivere le regole del rap game imponendosi come faro per la scena contemporanea: un punto di riferimento dal punto di vista del suono, dei contenuti e dell’arte musicale in generale.

“We don’t have any rules and that’s why (…) it’s like the Wild West. We need to write the new rules”

La seconda parte del titolo – Holy Grail – rimanda al calice dal quale, secondo una certa tradizione di matrice cristiana, Gesù avrebbe bevuto durante l’Ultima Cena: il Sacro Graal sul quale cinematografia e letteratura hanno dedicato molto spazio. Questo oggetto si erge a simbolo della fama e del successo: una ricerca che ogni artista intraprende nel corso della propria carriera.

Il contenuto.

Il simbolo del Graal ci permette, quindi, di comprendere il percorso lirico e tematico dell’album: un dualismo tra il rapporto con la fama e il tentativo di rimanere fedeli al proprio io.

“The album is about this duality between how you navigate through success and failures and remain yourself”

Questa contrapposizione emerge molto bene a mano a mano che si procede con l’ascolto del progetto. In apertura troviamo la title track, con la quale Jay-Z e Justin Timberlake parlano del rapporto di amore-odio con il loro status di celebrità: la fama li ha privati dei vestiti e del cibo – emblema della vita privata, ma nonostante questo loro l’hanno lasciata fare.

“F-k the fame, keep cheatin’ on me/What I do? I took her back/Fool me twice, that’s my bad/I can’t even blame her for that/Enough to make me wanna murder/Momma, please just get my bail/I know nobody to blame/Kurt Cobain, I did it to myself, uh”

Questo filone narrativo continua in altre tracce come Picasso Baby e Crown, nelle quali il rapper flexa la propria ricchezza e il lusso della sua vita. A fare da contraltare a queste tematiche troviamo l’altra parte del dualismo menzionato da Jay-Z nel video: il tentativo di rimanere fedele a sé stesso, rappresentato dall’amore per la moglie Beyoncé, per la figlia Blue Ivy e dalla ricerca di una pace interiore.

A tal proposito sono emblematici tre brani. Anzitutto Part II (On The Run), in collaborazione con Bey. Con le proprie barre, il rapper proclama il proprio amore per lei dichiarandosi pronto a morire e a rinunciare, quindi, a tutto per la donna che gli ha cambiato la vita.

Ancora, Jay-Z Blue, forse una delle prove più intime e crude della sua carriera. Protagonista di questa canzone è la paura di Mr Carter di diventare come il padre: l’artista ripercorre alcuni momenti traumatici della propria vita come l’abbandono da parte di Adnis e trova in questi episodi un motivo per cambiare ed evitare di ripetere i suoi stessi errori.

“Now I got my own daughter, taught her how to take her first steps/Cut the cord watch her take her first breath/And I’m trying and I’m lying if I said I wasn’t scared/But in life and death if I ain’t here”

In Heaven, invece, sentiamo Jay-Z mettere in questione l’esistenza dell’Aldilà. Come sappiamo, il rapper è sempre stato scettico nei confronti della religione e, con questa canzone, chiede al proprio pubblico se sia mai stato in paradiso e sa abbia mai visto i suoi cancelli. L’invito di Hova è di cercare il paradiso, ossia la serenità, sulla terra e non in un’altra vita.

Disco di platino in un giorno.

Questo disco ha, infine, consacrato Jay Z come uno degli imprenditori più furbi degli ultimi tempi. La RIAA ha, infatti, attribuito al progetto un disco di platino il giorno stesso dell’uscita. Il milione di copie che ha permesso al rapper di divenire il primo artista della storia a tagliare un traguardo del genere era stato venduto alla Samsung. La compagnia, il 4 luglio del 2013, diede poi modo ai propri utenti di scaricare gratuitamente il file mp3 del disco per il tramite di un’apposita app.

Questa formula – replicata con 4:44 – ha procurato ad Hova non poche critiche dato che il pubblico lo accusò di svendere la propria arte per ragioni di mero profitto. Al netto delle varie polemiche, questa mossa testimonia la trasformazione definitiva – per tornare al significato di MCHG – di Shawn Carter: non più un semplice rapper, ma un imprenditore a 360 gradi conscio di quel che la sua musica è in grado di fare.

Possibile dare a Magna Carta Holy Grail di Jay Z una lettura univoca?

Come spero sia emerso dalle righe precedenti, Magna Carta Holy Grail di Jay Z è un disco più complesso di quel che sembri. Dietro a quella che la critica e la fan base hanno definito una “stanca prova” di Shawn Carter, si nasconde un progetto sfaccettato e carico di un significato non solo musicale, ma anche – e soprattutto – sociale e culturale.

Dal punto di vista sonoro, Timbaland ha fatto faville pescando a piene mani da un’eredità immensa per presentare al pubblico un sound nuovo, pulito ed elegante. Liricamente parlando, pur non rientrando tra le più brillanti di Jigga, MCHG rappresenta una prova matura e consapevole che – in qualche modo – ha preparato il terreno per 4:44. Completano il quadro il significato che possiamo attribuire alla copertina, al titolo e alla data di uscita.

L’obiettivo di ergersi a “Bibbia” del rap contemporaneo pare forse molto audace, ma – a mio avviso – sarà solamente il tempo a dire se le intenzioni di Jigga hanno dato frutti. Anche se Magna Carta Holy Grail non rientra nella vostra top 5, è giusto dargli una seconda possibilità.