Exodus: l’ultimo testamento di DMX

DMX Exodus recensione

Il disco postumo di DMX, Exodus, non presenta gli artifici che rendono un prodotto post-mortem costruito a tavolino. Registrato mentre X era in vita, il disco nasconde più di una sorpresa e accoglie una lunga lista di collaboratori approvati dall’artista.

In Exodus DMX parla a se stesso, al mondo e ai suoi cari

Exodus doveva essere l’inizio di una nuova fase per DMX, un album concepito per essere l’ultimo sforzo discografico di un’icona dalla vita caotica e intrinseca da contraddizioni. Come racconta Swizz Beatz, X era pronto a entrare in palestra per rimettersi in forma e partire per un percorso promozionale che lo avrebbe ripresentato al mondo mainstream esattamente come nei suoi gloriosi anni. La tragedia che se lo è portato via è il culmine di anni di guerra con il suo più antico nemico, la dipendenza.

In Exodus possiamo drammaticamente respirare l’aria di crescita ma anche di frustrazione di un artista veterano che propone ai suoi fan uno sguardo introspettivo, forse il più intimo nella sua vita.

The Dirt

La prima parte di Exodus ci riporta nella East Coast di fine anni 90’, uno scenario in cui il rap era portato avanti dalla lussureggiante legione di artisti, album e video musicali della Bad Boy. L’entrata in scena di X e di Swizz Beatz riportò bruscamente nel mainstream un sound grezzo ma allo stesso tempo innovativo che si scollegava da quello che per molti era il marchio di fabbrica boom bap della Grande Mela. Per questo un brano come That’s My Dog è perfetto come introduzione.

Le tende si aprono esattamente come la prima volta con i The LOX liricamente incolumi dalle tendenze moderne e un X che sfoggia la sua aggressività nelle vesti di un 50enne col suo bagaglio di esperienze.

Oltre la dichiarazione di Swizz, sono molteplici i segni che lasciano intendere all’ascoltatore che Exodus era destinato ad essere una chiusura. Bath Salts aspettava solo il momento adatto per essere rivelata, un brano registrato anni fa ma che rivela l’anatomia di Exodus. Le strofe di X contenuti in questo disco non sono state registrate tutte nell’ultimo anno ma racchiudono quanto di meglio ha scritto il poeta della strada dal 2013 ad oggi.

La presenza di Jay-Z e Nas non ha intimidito DMX che ci ricorda con una strofa di come il liricismo non può vivere di vita propria se non è sorretto dalla realtà che lo ispira. Purtroppo il brano sente il peso della sua origine da Frankestein con un mixing un po’ troppo anacronistico per permettergli di raggiungere la perfezione.

Continuano i rimandi ai bounce leggendari dell’accoppiata DMX-Swizz Beatz di inizio millennio con Dogs Out. Lil Wayne mostra tutta la sua ammirazione per entrambi gli artisti con una delle sue migliori performance moderne. DMX è a casa con il sound, Exodus è esente da ogni trend che l’Hip-Hop ha abbracciato da Undisputed ad oggi.

L’unica eccezione sta nella traccia Money Money Money con una strofa-ruota di scorta da parte di Moneybagg Yo, un posto precedentemente destinato a Pop Smoke e di cui DMX era molto eccitato al riguardo. Un vero peccato considerando che i vocals di Smoke sono stati estrapolati da questo brano per essere usati in un prossimo progetto postumo del giovanissimo artista scomparso. Un passo falso da parte delle label che crea forse il vero e unico buco nell’acqua di un disco coeso e con una chiara intenzione.

Le due parti di Exodus iniziano a comunicare con Hold Me Down, un evocativo brano con Alicia Keys che controlla ritornello e pianoforte. La moglie di Swizz crea uno spazio familiare ad X che provvede a brillare con alcune delle strofe più introspettive che abbia mai rappato.

I pulled in opposite directions, my life’s in conflict, that’s why I spit words that depict the convict

I suoni delle strade di Yonkers abbracciano i primi cross over del disco, un dualismo a cui i fan di X sono abituati sin dai primi album con collaborazioni come The Omen con Marilyn Manson e Back in One Piece con Aaliyah. Anche Hold Me Down soffre di un missaggio incerto, affogando alcuni strumenti in un caos musicale che con una cura più coerente avrebbero potuto rivelare un capolavoro.

Situazione inversa con Skyscrapers: la voce di Bono offre una delle migliori performance del leader degli U2 dimostratosi onorato di condividere la sua presenza con quella di DMX sul più classico beat di Swizz Beatz. Nonostante lo scheletro del brano era destinato al cancellato Haute Living di Swizz, X ha più volte parlato del brano nei mesi precedenti alla sua scomparsa, dimostrandosi entusiasta. È comprensibile che alcuni fan potrebbero percepire Skyscrapers quasi come un mash up data l’estrema diversità nelle voci delle due icone ma l’intenzione e l’emozione che traspare dalle performance dei due è coinvolgente quanto basta per chiudere più di un occhio.

DMX non era solo un MC di spessore ma una star a 360 gradi capace di far tremare stadi interi e Skyscarpers ne è il testamento.

I was born in the dirt, so It’s like you planted the seed, let me grow

Lo skit Stick Up e l’aggressiva Hood Blues sono gli ultimi frangenti della parte raw del disco, un tributo ben riuscito ad un’epoca in cui X governava la scena.

La performance della famiglia Griselda è tagliente e X negli ultimi secondi del brano passa la torcia ai nuovi re dello street rap.

The Seed

La seconda parte di Exodus è proiettata sul presente di DMX, un presente in cui i demoni del passato sono invecchiati con l’artista portandolo ad una rassegnazione cosciente tenuta calma dall’inconfutabile fede in Dio. Il momento in cui X ha deciso di regalare alla scena un ultimo disco è arrivato durante il fantastico Verzuz del 2020 con Snoop Dogg. I due titani hanno bersagliato i fan con i loro molteplici classici ricordando ad X dell’amore incondizionato dei suoi colleghi e fan di tutto il mondo.

Quel momento rimarrà incapsulato in Take Control, una elegantissima e sensuale composizione con cui Swizz decide di lavorare a quattro mani con Denaun. Un sample quello di Sexual Healing di Marvin Gaye che unito alla performance di Snoop fanno brillare altri lati di X. La voce di Gaye è così brillante da farlo apparire quasi come una collaborazione mentre la controllata voce di X ci ricorda di capolavori come How’s It Goin’ Down.

Purtroppo la terra in cui questo seme è cresciuto ha visto troppi terremoti e cataclismi per dimenticare. La vita di X ha troppe ferite da cucire, nonostante l’evidente maturità che aveva raggiunto l’artista e la persona. Walking In The Rain si mostra come una cicatrizzazione che ancora duole, la tradita fiducia di X per alcuni cari che non ci sono più o che lo hanno abbandonato. Un dolore talmente persistente ma che non permette all’artista di rassegnarsi e che lo spinge ad interpretazioni positive del dolore stesso.

He left me with no shelter in the rain but I learned to stay dry, so it wasn’t in vain

Per X il dolore vero viene quando si rimane immobili per sempre, bloccati in quello stesso spazio temporale che ci ha lacerato.

You only truly suffer If you remain the same, let the dirt you go through change you

Un’ammirabile performance di Denaun fa da bridge ad un ritornello in cui DMX dichiara che nonostante la crescita la strada che percorre è costantemente bagnata dalla pioggia, quella stessa pioggia che ha fatto crescere il seme della sua carriera dal terreno. La strofa di Nas arriva immediato con una risposta quasi diretta alle perplessità espresse nella strofa precedente:

If you rock with your day ones, bless, if you don’t, don’t let it stress, nothing changed, love is there. Some brothers you outgrow, you leave’em there

A trascinarci alla fase successiva di quello che è diventato il momento più introspettivo della carriera di X ci pensa suo figlio Exodus. Il disco dedicato al piccoletto viene arricchito da una clip audio in cui si può sentire cantare le canzoni del papà e in un’altra in cui gioioso e puro lo ammirava in TV impegnato nel suo Verzuz.

Goodbye X

In questo genere l’introspezione cade spesso vittima delle enormi spalle pompate dai media. Artisti in bilico tra la loro attitudine ribelle e una sensibilità senza pari. Abbiamo assistito a momenti di selvaggia ignoranza su tutti i palchi del mondo ma anche di lacrime pure colme di gratitudine o dolore.

Afflitti dai conflitti che li hanno resi grandiosi ma non in pace con sé stessi, artisti come DMX sono l’esempio sacrificale che mostra il delicatissimo equilibrio dell’indole umana. Uno dei drammi più brutalmente documentati dai giornali nel corso degli anni è quello della relazione tra DMX e suo figlio Xavier Simmons. Il primogenito ha vissuto più di qualunque altro familiare i peccati del padre e i suoi momenti di debolezza fino a vederne il declino finale avvenuto lo scorso 9 aprile.

Letter To My Son (Call Your Father) è una delle più profonde canzoni mai scritta nel genere, parole quelle di X preparate nel corso di lunghissimi anni e finalmente rilasciate al mondo. Lo scomodo elefante nella stanza viene affrontato da X:

I don’t know what you thought about my use of drugs but it taught you enough to not use them

In questo ultimo brano, DMX non è più l’artista, ma Earl Simmons che cerca con le sue ultime forze di ripristinare ciò che ha rotto più volte nel corso degli anni. Un padre che chiede disperatamente al figlio di chiamarlo perché non è ancora troppo tardi finché…lo è.

Il lavoro musicale che chiude questo brano è magistrale perché nasconde una dicotomia poetica. Dopo la singola strofa di DMX la sua voce lascia spazio ad un commovente ritornello di Usher e ad una seconda strofa riempita unicamente da note di violino. L’ultimo progetto di una delle più potenti e aggressive voci della musica si chiude musicalmente con il suono di uno dei più delicati strumenti musicali che esista.

Nonostante Letter to My Son metta un punto deciso alla discografia di X, Swizz decide di fare un tributo al suo amico inserendo come outro Prayer. In pieno stile con la discografia di DMX, una preghiera registrata al Sunday Service di Kanye West vede X instillare semi di positività per chi ha volontà di prestargli attenzione.

Exodus non è un disco perfetto, i difetti sono evidenti specialmente nella parte tecnica. Nonostante tutto, la prospettiva da cui dovremmo guardare questo progetto è unica. Un artista la cui discografia e vita era in diretta discesa e che ha fatto di tutto per salvare il salvabile.

La sua vita personale e la sua musica hanno raggiunto un matrimonio inedito nel 2020, curato dal suo più stretto amico nell’industria musicale, Swizz Beatz. DMX si è sentito a casa e considerato a tal punto da mostrare una fiducia in sé stesso che non provava da anni davanti ad un microfono.

L’obiettivo di questo album era mostrare un veterano capace di creare nuovi contenuti nella sua arte rimanendo artisticamente e liricamente reale con sé stesso e in questo, Exodus ha fatto centro.

In Jesus’ mighty name, we are brave, amen.

R.I.P. DMX.