Due chiacchiere con lvca, la giovane scommessa di Giada Mesi

lvca

In Giada Mesi, l’etichetta di Dargen D’Amico, sono passati tanti artisti che sono riusciti successivamente a raggiungere il grande pubblico tanto agognato. Fausto Lama dei Coma Cose – sotto il nome di Edipo – e Dutch Nazari sono solo due dei nomi che potremmo fare. La label dell’eccentrico artista lavora più in ombra di altre realtà, ma a nostro avviso ha il merito di scommettere su progetti non facili e quello di lvca è uno di questi. Con questo non vogliamo dire che la musica di questo giovane artista non sia adatta a grandi platee, ma sicuramente Giada Mesi ha creduto nel progetto non guardando i numeri o altri aspetti purtroppo sempre più considerati in quest’industria tritacarne. lvca (rigorosamente con la l minuscola) è presente nel team ormai da qualche anno e ha da poco rilasciato il suo nuovo album, S.E.N.T.I., che sta per Senza Elettricità Non Trovo L’Interruttore. In sei tracce senza collaborazioni esterne il rapper (o cantautore?) spazia in diversi mondi in maniera naturale, senza forzare le proprie corde verso sonorità e linee vocali di tendenza a tutti i costi. Abbiamo contattato Luca per sapere qualcosa in più del progetto e del suo percorso.

Due chiacchiere con lvca

Ciao Luca, benvenuto su Rapologia. Come va? Cosa ti aspetti dall’uscita di Senza Elettricità Non Trovo l’Interruttore?
«Ciao, grazie dell’invito. Tutto molto bene grazie! Beh mentirei se non ti dicessi che c’è una remota aspettativa di suonarlo live quest’estate. Però i tempi sono quelli che sono purtroppo. E per l’amore che sto ricevendo questi giorni, mi basta anche così.»

Pubblicare dischi di questi tempi rischia di essere un’arma a doppio taglio, una sorta di buco nell’acqua, ma oggettivamente è l’unico modo per farsi conoscere, seppur il mercato digitale sia super saturo. Come vivi questa dinamica?
«Hai ragione. Anche se penso che sia comunque giusto far uscire musica a prescindere da qualsiasi periodo storico. La musica c’è, ci sarà ed è stata presente anche in periodo molto più oscuri e tetri rispetto a questo.»

Il titolo del tuo disco è un acronimo (S.E.N.T.I.), esattamente come accaduto con il tuo disco precedente. Nell’album ci sono inoltre giochi di parole ed altri riferimenti – come nella traccia Precipitevolissimevolmente, che è la parola più lunga del vocabolario italiano – ai vocaboli ed a qualche difficoltà che hai avuto durante l’infanzia con la comunicazione verbale. Quando hai capito che la musica poteva essere un aiuto?
«Diciamo che le canzoni presenti all’interno di questo progetto non hanno un filo conduttore comune. Abbiamo voluto, come anche nel precedente, che fosse una raccolta di canzoni, sparpagliate, che uno possa ascoltare anche singolarmente e mischiarle anche con le precedenti uscite, dato che sono canzoni tra, di loro, all’apparenza diverse.»

Come è nato il rapporto con ilovenikobrens? E quello con Giada Mesi di Dargen D’Amico?
«Frequentiamo e abbiamo frequentato la stessa compagnia, gli stessi posti. Veniamo da un paese veneto molto famoso per la grappa. Dal punto di vista musicale invece penso che il tutto sia nato grazie alla passione in comune del Rap e dell’HipHop che abbiamo nutrito sin da subito. Invece coi ragazzi di Giada Mesi abbiamo in auge una collaborazione che è presente e consistente da un pò, la quale ci aiuta davvero molto dal punto di vista sia musicale, sia manageriale.»

Fino a qualche tempo fa il mondo indie e quello rap non comunicavano molto – quasi si schifavano a vicenda – ora invece le collaborazioni tra i due generi sono all’ordine del giorno (come nel disco di Rkomi) e i confini sono sempre più labili. Personalmente però ritengo che non sempre l’unione tra questi due universi porti a dei risultati validi, soprattutto se l’obiettivo ultimo è massimizzare i guadagni e non sperimentare o fare qualcosa di nuovo. Tu cosa ne pensi? Che piega pensi prenderà l’industria urban nei prossimi anni?
«Guarda, per dirti io non mi sono mai sento appartenente ad un genere preciso. Penso che sia riduttivo sia per se stessi sia verso le proprie creazioni. Se Rkomi riesce a collidere all’interno del suo disco varie sonorità ed influenze, davvero molti complimenti. E’ ciò a cui deve puntare un’artista, sperimentare e sentirsi libero, anche di sbagliare, cercando di non fossilizzarsi solo su un genere, o solo su determinate tematiche, penso sia questa la ricetta per crescere.»

Nei tuoi brani racconti molto di te, cantando anche di dettagli molto personali. Ti sei mai chiesto se ti stessi esponendo troppo?
«Si, molte volte. Alcuni giorni non riesco nemmeno ad ascoltarle le mie canzoni per dirti. Ma penso che sia una cosa positiva. Altri giorni invece riesco a trovare conforto nella mia musica, e quelli, sono i giorni più belli. Penso poi che se non ti racconti in quello che fai, se precludi agli altri la possibilità di conoscerti a pieno, non potrai mai esprimere veramente e onestamente ciò che sei. E per come faccio la musica io, questo è e sarà il mio obiettivo.»

Ricollegandomi alla domanda precedente, in Luca non esiste dici: “E non sa nemmeno come è scrivere sul serio/Se ci pensi, quanti scrittori che scrivono davvero?”. Cosa volevi intendere? Credi che l’artificiosità vinca sull’autenticità nella musica e nell’arte in generale?
«Mi riferivo di più all’industria letteraria italiana. Sono abbastanza amante delle letture. E più volte mi è capitato di trovare tra gli scaffali dei best sellers alcuni libri non scritti dall’autore ma commissionati a terzi. E ho avuto lo stupore di vedere come questi sono, tra i libri, i più venduti. Io personalmente non ci trovo molto senso. Penso che il libro, come forma di comunicazione debba assolutamente essere scritto da una sola penna, da più esperienze collise in una mente di una persona, detta autore. Senno che senso c’è? Chiunque può scrivere un libro? Anche qui purtroppo non mi trovi molto d’accordo. Però sono altri discorsi. Comunque ti sfido a fare l’esperimento di recarti in libreria e contare quanti tra i best sellers sono scritti interamente dall’autore, il cui nome è, riportato in copertina. Scoprirai cose interessanti.»

Qual è la traccia alla quale sei più legato di tutto il disco?
«Penso lavatrice #25. Il testo l’ho scritto praticamente in 20 minuti, sono andato in studio abbiamo risuonato il giro e in 2 giorni avevamo già la canzone. Davvero magnifico. Con quella canzone ho un legame molto personale, anche se è una canzone molto vecchia, la sento ancora attuale.»

Se dovessi presentarti a chi non conosce la tua musica, quale brano sceglieresti?
«Sceglierei “la bronchite d’estate” o “aprile non è un verbo”. Canzoni “vecchie” (anche se, tanto vecchie non sono), penso che questo Ep si gusti meglio se si è a conoscenza anche dei precedenti capitoli della mia vita.»

A livello mondiale, qual è l’artista in cui ti rispecchi di più (se c’è)?
«In cui più mi rispecchio. Mmm domanda difficile questa. Diciamo che a livello di Rap sono molto legato al viaggio di Tyler, The Creator da moltissimi anni, lo ritengo un genio a livello musicale. Anche se quest’anno ho iniziato a riscoprire i Brockhampton, che a parer mio, hanno fatto un disco davvero forte e un’influenza solida me l’ha data un tipo che si chiama Dominic Fike (tantissima roba). A livello di “non rap” il nuovo di Paul McCartney è davvero illuminante e molto molto bello, poi quello degli Stokes che è uscito ormai un anno fa per me tra un paio d’anni diventerà un classico.»

Progetti futuri (ipotizzando che si possano fare programmi)?
«Come ho detto all’inizio, spero davvero di suonare dal vivo. L’abbiamo fatto un anno fa ed è stata l’esperienza, a mani basse, più figa della mia vita.»