Inoki: nel testo di Schiavi, al centro dell’uomo

Inoki Schiavi

Vi raccontiamo il ritorno sulle scene di Inoki attraverso Schiavi, tra le tracce più significative ed emblematiche del suo nuovo album.

L’autore latino Vegezio scriveva: “Si vis pacem, para bellum” (“Se vuoi la pace, prepara la guerra”). Così è stato per Inoki, che nel brano Schiavi sembra quasi polarizzare quel dualismo che segna il percorso del suo ultimo lavoro, MEDIOEGO.

Pubblicato con Asian Fake il 15 gennaio scorso, il sesto album del rapper romano si pone di fatto a metà strada tra il passato e il futuro, tra Milano e Torre Lapillo (i luoghi in cui è avvenuta la gestazione del disco), tra una redenzione avvenuta e una rabbia mai del tutto sopita. E se il Medioevo rappresenta la cosiddetta “età di mezzo”, quell’epoca millenaria descrittaci spesso (e spesso, a torto) come buia e misteriosa, il titolo MEDIOEGO ricalca la radice etimologica del termine per modificarne la desinenza e l’essenza. L’ –evo si trasforma in -ego e, quindi, in un dialogo serrato che l’io di Inoki fa tra le proprie contraddizioni, che sono poi quelle dell’intero genere umano. Un po’ come il Petrarca del sonetto Pace non trovo, et non ò da far guerra, in cui il poeta combatte tra il timore e l’illusione, tra la speranza di essere libero dall’amore e la consapevolezza di rimanere schiavo delle passioni terrene.

Perché, sì, l’epoca storica in cui viviamo ci costringe ogni giorno a tenere la misura dei nostri spazi obbligati, delle distanze con gli altri ma, soprattutto, diventa una cartina di tornasole delle nostre dipendenze di sempre: “Tal m’à in pregion, – scrive Petrarca – che non m’apre né serra/ né per suo mi riten né scioglie il laccio“. Vale a dire: “Una persona mi tiene in una prigione che non mi apre e non mi chiude/ e non mi prende come suo e non mi apre i vincoli”. Quel tal per Petrarca è la donna amata, Laura, ma per chi legge potrebbe raffigurare anche un luogo, fisico o metaforico, una contingenza, una scelta. Parallelamente, Inoki parte da questo ventaglio di possibilità per raccontare una condizione che ci affligge sin dalla notte dei tempi, ma che nel corso dei secoli sembra essersi caricata di sfumature sempre nuove. In questo senso, Schiavi è il brano di MEDIOEGO che più fa dell’individualismo un’universalità, quasi replicando a quel Liberi tutti dei Subsonica, traccia cardinale dell’indimenticato Microchip emozionale (Mescal, 1999).

Una sorta di manifesto generazionale, che lavora sulla figura retorica dell’anafora (cioè sulla frequente ripetizione della parola schiavi all’inizio del verso) e su quello stile formulare tanto caro al genere epico – e, qualche anno più in là, a Vasco Rossi – per tracciare un consuntivo schietto delle nostre esistenze:

“Schiavi, schiavi dei veleni, tossici della metropoli
Schiavi degli orari, schiavi dei denari, delle emozioni
La tentazione di commettere gli stessi errori
Delle sostanze, delle strane coincidenze
Che ci portano alle circostanze, che ci incatenano
Schiavi delle curve che ci frenano, le balle che ci fregano”

Nella parte iniziale della prima strofa, Inoki passa in rassegna ai mali che più ci rendono succubi dell’oggi. Il rapper parte da una dimensione sociale, quella delle grandi città, assediate dalla tossicità dell’aria inquinata e dai ritmi frenetici del lavoro e del consumo (“schiavi degli orari, schiavi dei denari“), per poi spostarsi subito in un territorio emotivo, quello in cui le nostre fragilità ci seducono al punto da renderci prigionieri dei nostri stessi errori (“ la tentazione di commettere gli stessi errori“). E cos’è l’errore, se non uno sbaglio, una deviazione dalla norma? La parola, infatti, deriva dal latino error, erroris, da cui – non a caso – nasce anche il verbo errare, cioè il vagare senza una meta. Molto presente – pensate un po’ – nel linguaggio petrarchesco, l’errore, a differenza dello sbaglio, non è un inciampo istantaneo, ma “è integrato in un’organizzazione ideale, magari lo manteniamo o lo ripetiamo più volte” (fonte: Una parola al giorno).

Allo stesso modo, Inoki interiorizza anche nello stile questo incedere tortuoso, soprattutto attraverso l’uso delle rime (orari: denari; incatenano: frenano), anche interne (sostanze: circostanze), delle consonanze e delle assonanze (frenano: fregano; sostanze: coincidenze; emozioni: tentazione), delle allitterazioni (“schiavi dei veleni, tossici della metropoli/ schiavi degli orari, schiavi dei denari”). Anche i suoni aspri, dati dalla presenza massiccia dei gruppi consonantici e delle doppie (“tossici”, “commettere”, “stessi”, “errori”), contribuiscono a rendere tangibile questa coazione a ripetere. E quelle “circostanze che ci incatenano” mimano proprio il movimento di un cane che si morde la coda, nel suono e nel significato: circostanze, infatti, vuol dire “stare intorno”. Girare su se stessi senza trovare una via d’uscita.

“Schiavi della genetica dei nostri avi
Delle abitudini di questi umani
Dell’inquietudine che non hai scelto
Non la volevi, lei è qui lo stesso
Schiavi del passato e della nostalgia
Di questo odore di malinconia
Della paura di non farcela
In tempo prima di lasciarci qua”

Nella seconda parte il ritmo del verso diventa più dilatato, come se il rapper volesse soffermarsi sul peso delle sue affermazioni, e nelle pause aprire dei momenti di introspezione. Continuano a susseguirsi le assonanze e le consonanze (avi: umani; scelto: stesso; nostalgia: malinconia; abitudini: inquietudine), ma prevalgono delle sonorità più aperte, date dall’uso frequente della a (“della paura di non farcela/ in tempo prima di lasciarci qua).

In modo particolare, i primi quattro versi sembrano ricalcare, in senso lato, quelli di Morire dei CCCP: “Esiste una sconfitta pari al venire corroso/ che non ho scelto io, ma è dell’epoca in cui vivo“. Anche Inoki, quindi, crede che il suo status sia dettato da fattori non dipendenti da lui, ma da agenti esterni: c’è di mezzo la genetica, quell’homo homini lupus che contraddistingue da sempre il nostro agire.

Ma c’è anche quell’insistente stato di malessere che toglie il respiro, il sonno, a cui il rapper non sa – né probabilmente vuole – dare una forma e una spiegazione. Perché scendere nei propri abissi fa male, eppure, spesso ci compiacciamo di quel dolore. L’uso delle parole nostalgia e malinconia, infatti, non è casuale: la prima indica il cosiddetto “dolore del ritorno”, quello che ci assale quando, appunto, desideriamo ritornare in un luogo o in una circostanza ormai lontana da noi. La malinconia, invece, è considerata da Victor Hugo “la felicità d’essere tristi”: una sorta di tristezza contemplativa, quasi ragionata. Insomma, due stati d’animo belli e dannati, di cui l’essere umano non può fare a meno. In questo modo, anche la “paura di non farcela/ in tempo” (con relativo enjambement, per creare un effetto di suspense) diventa una condizione di stasi dolce, cercata.

“Noi cerchiamo solo libertà
Incatenati dalle regole
Ci cambiano, trasformano, confondono
Siamo legati dalla schiavitù
E la necessità di andarsene, scappare via da qua”

Cos’è, dunque, la schiavitù, se non un processo di involuzione? Nel climax discendente del ritornello (“ci cambiano, trasformano, confondono”), Inoki ne rende anche stilisticamente l’idea, avvalendosi di un linguaggio prosastico che non ha nulla a che vedere con quello utilizzato nella prima strofa. A parte qualche assonanza (cambiano: trasformano), l’andamento della versificazione è lento, come se il rapper volesse liberarsi anche da quelle costrizioni ritmiche e metriche che, a volte, relegano le parole nel testo.

Anche la mancanza di veri legami sintattici tra il penultimo e l’ultimo verso (“siamo legati dalla schiavitù/ e la necessità di andarsene, scappare via da qua”) confermano questo atteggiamento. La libertà, insomma, è anche questo: svincolarsi dalle logiche precostituite. Perché – cantavano pure i Subsonica – “nei vuoti d’aria della realtà/ tracciamo traiettorie migliori”.

“Schiavi, schiavi della macchina
Dipendenti dalla plastica
Confusi dalla falsità, illusi dall’America
Schiavi dell’amore, ma soprattutto
Schiavi dell’odio che ha distrutto tutto
Schiavi dei social e del telefono
Di questi occhi sconosciuti che ci osservano”

Nella seconda strofa, Inoki incalza la sua invettiva contro altri mali che affliggono l’uomo. Si scaglia contro la macchina, intesa nella sua polisemia, cioè nella sua molteplicità di significati: può essere una condanna al materialismo imperante, alla meccanicità dei nostri gesti, ma anche a chi macchina alle nostre spalle. Nel mirino ricade anche il motivo dell’inquinamento ambientale (“dipendenti dalla plastica“) e dei falsi miti, come quello dell’America, che sin dagli albori del Novecento è diventata meta – reale o immaginaria – di fughe e ambizioni, spesso puntualmente disattese. Di fatto, il nostro universo artistico – dal cinema, alla letteratura, passando per la musica – è costantemente attraversato dal sogno americano. La narrazione collettiva vede soprattutto gli Stati Uniti come emblema di libertà e trasgressione, e nell’uso di un nuovo climax discendente (“Schiavi dipendenti confusi illusi“) Inoki, invece, ci fa capire quanto questo racconto sia molte volte solo ideale.

Dai paradossi generati da quell’odi et amo (“schiavi dell’amore schiavi dell’odio“) che rimanda prima ad Anacreonte e Catullo (conosciamo benissimo il suo “Odio ed amo. Perché lo faccia, mi chiedi forse./ Non lo so, ma sento che succede e mi struggo“) e poi, ancora una volta, a Petrarca, il rapper ritorna ad una dimensione collettiva. Il chiaro rimando, in questo caso, va a George Orwell, al suo romanzo-culto 1984 e a quel Grande Fratello che mistifica i confini tra la vita pubblica e quella privata (“schiavi di questi occhi sconosciuti che ci osservano“).

Il ritmo della strofa riprende a tratti la prosasticità del ritornello – lo intuiamo dalla presenza di qualche “libera” assonanza (macchina: plastica; plastica: America) – a tratti la tortuosità stilistica dei primi versi – pensiamo alla sequenza “soprattutto distrutto tutto “, in cui la rima produce un effetto allitterante. Ad ogni modo, questa sorta di emancipazione dalla forma può far pensare ad una graduale rassegnazione di Inoki o, al contrario, ad un finale a sorpresa.

“Schiavi delle cose, delle persone
Del cibo, del lavoro, della competizione
Schiavi del volere essere qualcos’altro
Del migliorarci, del guardare in alto
Accontentarci non è nei piani
Per questo non vogliamo essere schiavi
Cerchiamo chiavi per lucchetti e porte
Spezzo catene, fra’, guardo oltre”

Perché, se da un lato la schiavitù “del cibo, del lavoro, della competizione” è una condizione quasi ineliminabile dal genere umano, dall’altro permane sempre la necessità, se non di liberarsi totalmente dalle proprie dipendenze, quantomeno di migliorarsi (“schiavi del volere essere qualcos’altro/ del migliorarci“). Giocando abilmente con la figura retorica della paronomasia, Inoki crea delle coppie di parole (altro: alto; schiavi: chiavi; porte: oltre) che hanno l’effetto di confutarsi e, allo stesso tempo, di completarsi a vicenda. Si può così essere altro da sé, senza comunque dimenticarsi di puntare in alto, nel rispetto delle proprie capacità. Si può continuare ad essere schiavi di qualcosa, ma è possibile anche trovare una soluzione, o meglio, delle chiavi che aprano uno squarcio nelle nostre debolezze. Infine, possiamo essere vincolati da confini fisici (dalle porte, appunto), ma questo non può comunque impedirci di andare oltre i limiti imposti. Anche fosse soltanto con il pensiero, per costruirsi – come direbbe qualche altro rapper – il nostro cielo nella stanza.

Per Inoki, quindi, la libertà non consiste nella risoluzione del conflitto, ma nell’accettare che questo confitto esista ed esisterà vita natural durante. Perché la guerra, in fondo, può essere anche una cosa bella. E se pensiamo che in latino il corrispettivo di guerra sia bellum allora, forse, tutto ha più senso.

Personalmente, credo che Schiavi sia la traccia portante – se non, addirittura, la chiave di lettura – di MEDIOEGO. Attraverso un linguaggio apparentemente semplice, Inoki vuole in realtà fare luce sui conflitti più profondi che da sempre agitano l’animo umano. E lo fa con assoluta fedeltà a quella cifra stilistica, asciutta, reale, che lo accompagna sin dagli esordi. Una lezione di coerenza che lega Inoki alla purezza originaria del rap e che, allo stesso tempo, lo proietta in una dimensione attuale. O, più precisamente, in quella sorta di spazio elitario alla portata di tutti, ma nel quale – di contro – in pochi possono accedere.

Grafica di Mr. Peppe Occhipinti.