Cosa significa rap? Il significato del genere musicale più chiacchierato

cosa significa rap?

La musica rap nella seconda decade degli anni 2000 è diventata – dati alla mano – quella più ascoltata e chiacchierata sia negli Stati Uniti che in Italia ma, probabilmente, non tutti quelli che la ascoltano sanno veramente cosa significa e come sia veramente un brano rap.

Per comprendere bene cosa significa rap o, semplicemente, saper dare una risposta argomentata quando il tuo amico ascoltatore di “quello che passa in radio” ti chiede se Diodato sia un rapper, affronteremo a tal proposito in maniera sintetica alcuni argomenti da non sottovalutare:

Cosa significa rap? Partiamo dalla sua presunta definizione etimologica

In molti credono che il significato del parola rap sia “rhythm and poetry” – in italiano ritmo e poesia – ma così non è. Non esiste una vera e propria definizione e, tra l’altro, se fosse l’acronimo di rhythm and poetry lo si vedrebbe scritto sempre con la lettere maiuscole (o quanto meno la prima) almeno in quelle pubblicazioni ufficiali dove gli autori rispettano il fatto che i nomi formati dall’unione di più parole vengano scritte in questo modo.

Quindi non esiste una vera e propria definizione di rap? Andando a leggere la traduzione su Wordreference si può notare che il verbo to rap stia per “tamburellare su, picchiettare su, battere su, dare pugni a” richiamando in qualche modo l’atto del rapper di battere il tempo sul beat a suon di rime, spesso risultanti come dei veri e propri pugni in faccia sganciati contro l’avversario (reale o presunto tale)

Continuando la ricerca del significato etimologico del termine, ci pensa il Shorter Oxford English Dictionary – uno dei dizionari di lingua inglese più autorevoli – a dirci che la prima volta per la parola rap risale al lontano 1541, utilizzata per intendere l’atto di “pronunciare bruscamente, vigorosamente o all’improvviso” qualcosa, spesso un giuramento. Anche qui, quindi, un’analogia con quanto in effetti un MC a volte fa, sia in studio che in un cerchio di freestyle.

Ma qual è la definizione di rap che fornisce, invece, quello che per molti è il punto di riferimento quando ci si pone queste domande, ossia il Treccani? Eccola di seguito:

“Genere musicale affermatosi nella seconda metà degli anni 1970 nella comunità afromericana e ispanoamericana di New York, caratterizzato essenzialmente dal ‘parlare’ seguendo un certo ritmo che viene prodotto alla console dal DJ con alcune tecniche (turntablist, beatmaking, scratching).”

Esatto, il rap è proprio questo: un genere musicale facente parte della cultura hip-hop (punto che affronteremo dopo), caratterizzato dalla presenza di una base musicale – quasi sempre con una struttura precisa e dei BPM (battiti per minuto) che ruotano tra gli 80 e i 120 – e un testo in rima cantato da uno o più rapper. “In rima”, nel 2020, sarebbe da sottolineare più volte: basta fare un giro su YouTube o Instagram per capire il perché.

Lasciando perdere chi viene additato come rapper solo per l’ambiente in cui gira o i media che lo trattano, il rap può essere visto come una delle forme d’arte più espressive e forti degli ultimi anni: attraverso la sua schiettezza e il suo andare dritto al punto – anche tramite metafore o allegorie – permette a chiunque (forse non proprio chiunque…) di esprimere la propria opinione su qualsiasi tema, dal più frivolo a quello più impegnato.

In Italia, però, il rap vero e proprio non è ancora stato capito a pieno e ce lo ha confermato uno dei suoi massimi esponenti, Jack The Smoker, nell’intervista che abbiamo realizzato per il suo album ufficiale Ho Fatto Tardi:

«il Rap in Italia come formula espressiva non è mai arrivata al 100%.»

Perché non ce l’ha mai fatta? Per delle barriere linguistiche? Per come è fatto l’italiano medio? Non abbiamo la risposta certa – anche se abbiamo provato a darla QUI, riferendoci all’hip hop – fatto sta che in pochi sanno effettivamente riconoscerlo o identificarlo correttamente se interrogati in merito.

Una colpa potrebbe anche essere l’enorme evoluzione che ha avuto da quando, piano piano, ha iniziato a diventare il genere musicale più ascoltato fino all’avvento della trap, la quale ha portato in molti casi – non tutti, sia chiaro – una semplificazione sia dei testi che del beat.

A tal proposito, durante la nostra intervista ai Colle Der Fomento, Danno ha così detto:

«Il rap come lo abbiamo conosciuto noi è lo standard della musica rap: un beat e uno che ci fa le rime sopra. Da qui possono partire mille varianti, però non puoi annullare il cuore di un genere, la base è quella, tant’è che ci sono dei nuovi artisti che magari sul disco si presentano in maniera più moderna, però quando li invitano in quelle radio dove fanno freestyle e gli mettono un beat vecchio alcuni di questi sanno fare del rap: sono quelli veramente bravi che hanno capito che si parte da lì e poi puoi arrivare dove ti pare, tenendo bene a mente che quella è la base. È la differenza con chi questa cosa non l’ha capita e se gli cambi il beat non sa più che fare mentre per noi era quasi un gioco: dopo aver scritto una strofa, la mettevamo su una strumentale a 100 BPM prima e a 70 dopo; siamo cresciuti provando una strofa su cento beat diversi, imparando una versatilità e a sapercela cavare sempre.»

È corretto categorizzare il rap come commerciale e/o underground?

Non proprio. «Non lo ascolto perché fa rap commerciale» è una delle motivazioni più gettonate, ma siamo sicuri che il cantante a cui ci si riferisce sia un rapper? Speso no, o quantomeno non lo è più.

Il rap è rap. Che sia in cima alle classifiche o ascoltato da quattro gatti rimane la stessa identica cosa. L’unica differenza che si dovrebbe sottolineare è – secondo il parere di chi scrive – quella che persiste tra il rap fatto bene e quello fatto male e, udite udite, li si può trovare in entrambe le casistiche.

Sfogliate le pagine del nostro sito web e ne potrete trovare diversi di esempi più che validi, presenti sia nelle classifiche principali di Spotify che in quelle della testa hip-hop a voi più cara. E a proposito di hip hop:

Non esiste la musica hip hop. Il rap è la musica dell’hip hop: ma cosa significa?

Un’altra piccola specifica che ci preme sottolineare è la seguente: tutte le volte che sentite parlare di “musica hip hop” siete dinnanzi a un errore, non grave, ma comunque un errore… Il rap è il genere musicale dell’hip hop, uno dei quattro elementi cardine di questa cultura spesso presa sotto gamba.

Di seguito vi ricordiamo i quattro elementi che compongono l’hip-hop:

  1. MC’ing, l’arte del rappare,
  2. DJ’ing, l’arte di fare il DJ (con un giradischi, capito?)
  3. Writing, l’arte di realizzare graffiti;
  4. B-boyng, l’arte di ballare la breakdance.

Ciascuna di queste arti compone l’hip-hop, la cui musica è rappresentata dal rap, suonata dal DJ, ballata dal breaker e – a volte – dipinta dal writer.

In conclusione, non possiamo dare una risposta didascalica alla domanda cosa significa rap in italiano, ma ciò non vuol dire che si possa dire cosa esso sia. Vi invitiamo perciò ad ascoltarlo attentamente, a dare il giusto peso alle parole e a riflettere più volte prima di dire che un determinato cantante sia un rapper o meno.

Per qualsiasi errore, segnalazione o parere la sezione commenti sottostante è a vostra disposizione: saremo molto lieti di leggere la vostra opinione.

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