Alla riscoperta di Big L, tra freestyle e crudo storytelling

Big L Freestyle

Da Harlem con furore: la breve vita di Lamont Coleman, in arte Big L.

Oggi vogliamo ricordare Lamont Coleman, in arte Big L, che il 15 febbraio del 1999 veniva brutalmente assassinato per le strade di Harlem, proprio il quartiere dove venticinque anni prima veniva alla luce.

Il motivo non è ancora del tutto chiaro, ma la cosa certa è che Coleman non fosse direttamente coinvolto. Infatti l’ipotesi più accreditata è quella di un regolamento di conti scontato al posto del fratello, al tempo in carcere. Una ricostruzione ancora più macabra ipotizza che L sia stato addirittura scambiato per il fratello e dunque ucciso erroneamente. In ogni caso, poco dopo venne arrestato un suo amico d’infanzia, che per mancanza di prove venne però rilasciato e che è stato ucciso a sangue freddo nel 2016.

Una morte ingiusta e prematura di L, che non ha però impedito al suo talento cristallino di essere notato ed acclamato da tutti per il suo valore lirico e tecnico. Il primo che se ne accorse fu nel 1990 Lord Finesse dei D.I.T.C., storico gruppo newyorkese, che dopo averlo sentito fare freestyle durante un firmacopie (ebbene sì, non sono un’invenzione recente!), decise di lasciargli il suo numero con la promessa di risentirsi.

Tra il 1990 ed il 1992 Coleman si diploma, inizia a scrivere seriamente dei testi e fonda il gruppo Children of the Corn con, udite udite, un giovanissimo Cam’Ron (all’epoca Killa Cam) ed un altrettanto giovane Mase. Il ’92 è anche l’anno in cui finalmente i contatti con Lord Finesse si infittiscono, ed il giovane rapper riesce sia ad entrare a far parte dei D.I.T.C., sia a firmare il suo primo contratto discografico con Columbia.

Sotto quest’etichetta, dopo un primo singolo molto spinto (Devil’s son, uno dei primi esperimenti Horrorcore) escono altri due singoli tra cui il celebre Put It On, e finalmente ecco che nel 1995 esce il suo primo album: Lifestylez ov da Poor & Dangerous.

Ottenuto un successo più che discreto, il rapper di Harlem lascia Columbia perché a suo dire era costretto ad dover collaborare con persone (discografici, ndr) che non avevano assolutamente idea del tipo di musica che facesse, e così inizia a lavorare all’album successivo da indipendente.

Nel 1998 è la volta del singolo Ebonics, in pratica un elenco in rima degli slang di strada più in voga all’epoca, che gli vale le attenzioni dell’allora CEO della Roc-A-Fella, e la simpatia di un ancora giovane Jay-Z.

Proprio con quest’ultimo appare in un programma radio dove  i due si rendono protagonisti di uno dei freestyle rap più epici di sempre, e dove un giovane Jay si difende anche bene se lo compariamo all’improvvisazione suprema di L. Suprema e comprovata in ben più di un’occasione, come dimostrano le decine di video e le raccolte di tutte le sue migliori prove sul mic.

Se però dovessimo scegliere un freestyle su tutti, sarebbe senza dubbio quello che è passato alla storia come 98 Freestyle. Se provassimo fare una classifica delle migliori barre andremmo probabilmente in un manicomio perché sarebbe praticamente impossibile. Punch leggendarie e più di qualche extrabeat a contorno, il tutto probabilmente registrato in occasione di una puntata radio dove tutti i presenti rimasero a bocca aperta.

Anzi, dopo la prima pioggia di rime qualcuno prova scherzosamente ad accennare che L si fosse preparato tutto, ma si sente che non è così, o meglio, quello che è certo è che non ha rappato sue strofe già uscite. Un plauso va anche all’eroe che ha caricato il video con il testo perché senza sarebbe davvero difficile afferrare tutti i giochi di parole e i riferimenti alla cultura e allo slang del tempo.

Ora, si potrebbe quasi affermare che il suo status di Rap God gli venga attribuito principalmente dalle sue performance nei freestyle, ma ciò non sarebbe affatto vero, oltre che giusto.

Infatti l’altra grande abilità che aveva era quello dello storytelling rap ed è stata sicuramente la combinazione di questi due talenti che lo ha fatto passare alla storia come leggenda del genere. Ovviamente, le storie che raccontava non erano propriamente favole per bambini, ma crudi racconti di strada dove spesso il protagonista era L stesso e la sua crew.

Tutti sappiamo che di ottimi improvvisatori ce ne sono stati parecchi, ma la storia insegna che quest’abilità da sola non è sufficiente per raggiungere un certo status e Big L ne è l’esempio più lampante, credo.

Tornando a noi, è il 1999 e il giovane talento newyorkese è in procinto di ultimare il suo nuovo album The Big Picture quando viene brutalmente assassinato, come dicevamo sopra senza che tutt’ora sia stata fatta chiarezza sulle cause. The show must go on dicono, ma l’album non è ancora completo ed allora il suo manager ed amico Rich King decide di completarlo ugualmente.

Vedrà la luce circa un anno dopo, nel 2000, e contiene produzioni illustri come quelle di Premier e Pete Rock e featuring altrettanto importanti come quelli di  Fat Joe, Guru, Kool G Rap, Big Daddy Kane e persino Tupac! Per dare un’idea della qualità del Rap all’interno, la rivista Rolling Stones lo ha addirittura catalogato come l’album Hip Hop più underrated di sempre..

Insomma, una fucina di flow e punchlines che definire spinte sarebbe un eufemismo. E il tutto senza che L sia mai sembrato a corto di idee. Si, perché come non tutti sanno purtroppo, il freestyle non è solamente improvvisazione ed è questo il motivo che ha reso Big L una leggenda: perché per lui il freestyle era rigorosamente off the dome.