Il grande sogno di Rkomi – Reportage del live al Fabrique di Milano

L’ultima data di Rkomi al Fabrique di Milano è il momentaneo lieto fine di una (bella) storia da raccontare.

Calvairate, Viale Molise, Piazza Ovidio, Piazzale Cuoco. Prima del 2014, questo elenco di luoghi era – per i milanesi – solo una parte della toponomastica del Municipio 4, all’estrema periferia sud-est della città, una di quelle zone che qualcuno potrebbe consigliare di non frequentare dopo una certa ora, per intenderci.

Poi, – grazie ad un ancora grezzo ma assolutamente promettente Calvairate Mixtape – è diventato il terreno fertile di cemento e catrame entro cui un giovane rapper milanese, Rkomi (Mirko al riocontra), stava pian piano piantando il proprio seme per scatenare una tempesta nella nuova scena che stava prendendo forma. Nel 2016, con Dasein Sollen, è lo sfondo imprescindibile fatto di palazzoni, cortili popolari e piazze delle sue prime rime, quelle più cupe, crude e incazzate, che l’anno seguente avrebbero trovato il loro apogeo nel suo deflagrante album d’esordio, Io in Terra.

Oggi – sei anni, due EP e due dischi pluripremiati dopo – è il tragitto che Google Maps mi suggerisce per arrivare al Fabrique per l’ultima delle due date milanesi conclusive del Dove gli occhi non arrivano tour di Rkomi.

Rkomi

Da Piazzale Cuoco prendi la terza uscita su Viale Molise, poi gira a destra su via Cesare Lombroso; quando sei in Piazza Ovidio sterza subito a destra su via Mecenate, poi svolta a sinistra e sei lì, davanti ad una fila chilometrica di persone che occupa tutta via Fantoli, fino quasi a girarne l’angolo, e che non aspetta altro che varcare le porte del Fabrique per Rkomi.

Per ovvi motivi, non posso sapere se e quante volte prima di questo weekend Mirko abbia percorso quel paio di centinaia di metri che separano il suo quartiere da una delle sale concerti più importanti della città per assistere ai live i mostri sacri del rap italiano, magari proprio gli stessi che sono stati suoi ospiti domenica sera, e per altrettante ovvie ragioni non posso nemmeno immaginare cosa si provi ad attraversare le vie e le piazze che ti hanno visto crescere sapendo che – per due sere di fila, di cui una sold out – il protagonista di quello stesso palco sarai tu. Posso però dire – e anche con un certo margine di sicurezza – che quello che ho visto il 26 gennaio è stato il momentaneo lieto fine di una di quelle storie di rivalsa che mi ricordano sempre uno dei tanti motivi per i quali amo questo genere.

Non starò qui a snocciolarvi la scaletta (fittissima, mi dimenticherei sicuramente qualcosa), così come non mi addentrerò in commenti tecnici sul livello (decisamente alto) delle performances di Rkomi e di chi l’ha supportato in questo traguardo. Per quello bastano le foto e i tantissimi video che circolano su Instagram.

Quello che però un video fatto con il cellulare forse non potrà mai riportare, è la sensazione che si ha assistendo e sentendosi parte di una tale concretizzazione del sogno di una vita.

“I’m destined to live the dream for all my peeps who never made it”, rappava nel 1994 AZ in quel capolavoro immortale che è Life’s a Bitch di Nas, il cui campionamento vocale era stato profeticamente ripreso da Night Skinny nel 2016 in Fuck Tomorrow. Io non so se Rkomi sarà davvero il futuro Nas italiano, o se fra 20 anni Io in Terra sarà considerato il nuovo Illmatic; sono dei voli pindarici davvero troppo arditi che non mi permetto di compiere.

Quello che so è che domenica sera, dietro ai palazzi popolari di via Calvairate e davanti a 3000 spettatori, Mirko ha davvero vissuto il sogno a cui tutti – dal lontano 2016 – avevamo capito fosse destinato, un sogno così grande da riempirci una stanza, poi un’altra, poi tutto il Fabrique, e l’ha fatto non solo nella propria città, ma nel proprio quartiere, volendo con sé sul palco alcune delle persone che hanno contribuito a rendere così incredibile la vista dalla vetta dopo anni di scalata: gli amici di sempre, quelli dei primi live, i ragazzi dei blocchi sui balconi in cui cercavano rivalsa e che l’hanno indubbiamente trovata – Ghali, Ernia e Tedua – e i maestri e mentori di una vita, fra i primi a credere nel talento di un ragazzino affamato – Night Skinny, Marracash, Noyz Narcos e Fabri Fibra.

 

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Il guardiano di notte, il gelataio e il paninaro.❤️ Grazie @rkomi per queste due serate, mi sono divertito come fossero state mie.

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Sono troppo lontana dalla prima fila per poter intercettare gli occhi e le espressioni di Mirko quando si ferma ripetutamente per ammirare la folla che non si perde nemmeno una delle sue parole, che urla il suo nome all’unisono, e forse è meglio così, perché certe cose sono talmente intime e personali che è giusto che rimangano custodite solo nella memoria di chi le vive in prima persona; sono quasi ineffabili, e anche la parola più profonda non renderebbe loro giustizia.

E forse di parole ne ho usate persino troppe, o magari troppo poche, per dire che quello di Rkomi al Fabrique di Milano non è stato solo un concerto, ma la presa di coscienza che quel “Guarda che se voglio vengo lì mi prendo tutto quanto, piedi per terra perché punto in alto” con cui si apriva Dasein Sollen, quando ancora tutto questo sembrava impossibile o quantomeno troppo lontano, è finalmente diventato realtà, e che da oggi – in città – ci sarà un’altra bella storia da raccontare.

Foto in copertina di Fabio Izzo x Fabrique.