Poesie per la Dora è l’ode a Torino di cui avevamo bisogno

poesie per la dora

Quattro penne all’opera per mischiare poesia e rap, omaggiando uno dei luoghi più affascinanti e. abbandonati a se stessi di Torino.

Torino è stata più volte il centro nevralgico della narrazione musicale nostrana. Dai Subsonica ad Ensi, passando per i Linea77 ai lavori più recenti di Willie Peyote, l’anima della città è stata ripetutamente oggetto di interpretazioni che risultano decifrabili appieno solo se a Torino ci hai vissuto e hai avuto la possibilità di toccare con mano tutte le sfaccettature e le contraddizioni che offre. Poesie per la Dora si inserisce nell’insieme di quei lavori che nascono e si sviluppano a stretto contatto con lo spazio geografico in cui vengono creati e, in questo caso, l’album attinge ampiamente dall’immaginario mistico e variegato del capoluogo piemontese.

La Dora attraversa la città passando per il mercato di Porta Palazzo, per il quartiere Aurora per poi finire nel Po dopo Vanchiglia. La Dora fa da musa, il disco è il racconto del fiume che inizia in medias res e, grazie ad una disposizione organica delle tracce, alcune delle quali solo strumentali, riproduce la vera essenza del fiume che scorre, nella dimensione di un fluire perpetuo in cui nulla si ferma, eppure tutto sembra restare uguale a se stesso.

Si può pensare a Poesie per la Dora come ad un viaggio, ma non è il tragitto che compio da casa mia, in zona San Donato a Torino, per arrivare a Palazzo Nuovo dove studio, costeggiando la Dora e tutta la flora e la fauna che vi pullulano; non inizia quando metto piede fuori dal portone e lo infilo sulle scale dell’università. Poesia per la Dora può essere pensato al massimo come a una frazione di tragitto, una delle tante che percorro per raggiungere la mia meta, magari proprio quella del Ponte Carpanini illustrato in copertina, sotto cui la Dora scorre.

E’ un viaggio senza un vero e proprio inizio né una fine, senza reminiscenze di primi passi o l’idea precisa di una meta. Un girovagare simile a quello del flâneur di cui parlava Baudelaire: un passeggiare per la città senza destinazione ma col solo scopo di osservare, facendosi spettatore del mondo circostante quanto, inevitabilmente, protagonista all’interno del meccanismo della città, dove è impensabile osservare senza essere osservati a propria volta. Il risultato, perciò, è sia il prodotto dell’occhio attento degli autori, che risulta facile immaginare accostati presso le sponde del fiume o sporgersi da uno dei vari ponti e riportare ciò che vedono su musica quanto, al contempo, il loro proprio io riflesso in quelle acque torbide, intrecciato nell’ecosistema vivo della Dora, delle anime che lo abitano e dei ponti che lo sovrastano.

I nostri cantastorie hanno condiviso lo spazio artistico “Era Aurora”, situato proprio nei pressi del fiume, in cui Davide Bava, ideatore del disco ed autore delle basi musicali, per due anni ha proposto vari sguardi sulla poesia, dal corso di Improvvisazione Poetica a quello di Poesia Sonora. E’ infatti nella dimensione della poesia che bisogna addentrarsi per riuscire a cogliere e sviscerare il nucleo di questo lavoro. E’ lo stesso Bava a darci le indicazioni per affrontare il viaggio al meglio: “Qui il ponte è anche metafora di una comunicazione tra rap e poesia. Sono poesie arrangiate in modo da agganciarsi ed adagiarsi sui beat.”

Il percorso artistico di Bava si sviluppa fin da subito nella dimensione di unire la poesia alla musica: nel progetto radiofonico Radioblunote, uno degli esperimenti proposti era proprio quello di riprodurre un brano di musica jazz e scrivere versi, improvvisandoli sulla linea musicale, per poi recitarli in diretta, alla fine del brano. Del jazz ritroviamo anche lo scat di Giorgio Milia aka Mr. Brown, riadattato alle basi d’ispirazione soul, lente e minimali e in grado di creare un’atmosfera cupa, che ricordano vagamente i lavori del producer statunitense J Dilla.

Il Ponte è la prima traccia, la prima pagina del nostro racconto. Qui Tito Pasini in arte Sherpa assume le sembianze di un moderno menestrello e ci offre le linee guida da seguire:

“CANTAMI O DIVA DELLE TUE SCONFITTE /DELLE TUE SCOPERTE/ LE FERITE PER SEMPRE/ IN QUELLE ANCORA APERTE LASCIAMI ENTRARE/ FAMMI CAPIRE QUANT’è DOLCE CADERE”

Le anime perdute che popolano la Dora sono protagoniste del disco, nell’ottica di ridare dignità a figure invisibili ed invisibilizzate, ignorate nel passaggio da una sponda all’altra, ma sempre presenti. La Dora è la loro casa.

“Adoro il modo in cui il poeta si offre/ quando si immola immobile mentre il resto corre/ come il modo in cui il fiume scorre/ scorta storie con sé e soffre per le scorie.”

Tito Sherpa: “Il poeta è un po’ l’ultimo della società, perché offre la sua visione al mondo, ma il processo poetico implica mettersi un carico sulle spalle; il fiume, allo stesso modo, nel corso dei secoli ha fornito un mezzo di spostamento agli uomini che così hanno potuto intercambiare conoscenze e culture, ma si porta appresso il peso dell’inquinamento che essi creano.”

La Dora è infatti, così come il Po e come tutti i fiumi che attraversano le grandi città, ampiamente inquinato. La condizione dell’inquinamento umano, di un rapporto con la natura perduto in nome del progresso, dello sviluppo della civiltà che però ci si ritorce contro, è un’altra delle sfaccettature narrate nel disco. Da Paure di Carta:

“Se un tempo Mr. Ford faceva un’auto con la canapa/ oggi il paradosso è che ti fumi il copertone/ il discorso evoluzione comincia a sembrare insipido/ l’incubo un po’ più lucido.”

In diverse tracce troviamo melodie sognanti intrecciate ai suoni della natura, dai versi degli uccelli al rumore dell’acqua, in Omerika così come in Abissi.

L’ottava traccia è Un lungo sonno, dove Chiara de Cillis sembra recitare a se stessa una ninna nanna nel faticoso tentativo di addormentarsi, tormentata da una veglia involontaria e senza fine.

Doppelganger pone il focus sull’interiorità umana, sui confini labili fra tutte le identità che ci costituiscono e che siamo costretti a creare per esistere come animali sociali.

“Con tanti limiti quanta vivacità/ spinge dallo specchio il doppio/ trova il punto d’accesso/ crudo a crepapelle ride per lo spasso come un mulo/ innamorato della sua carota/ convinto di proteggerla/ gioco e catena dentro la sua ruota.”

Mr Brown: “Uno dei libri che più mi ha segnato è Il Profeta di Khalil Gibran. C’è un passo che recita: “Ho visto quelli che si sentono più liberi tra voi indossare giogo e catena”, il brano parla proprio di questo; è l’ombra, il doppio di se stesso che deride l’altro. Se non riconosci la dualità interiore, sarai sempre un po’ schiavo dell’idea che hai di te.”   

C’è un’idea del fiume come stato d’animo, di un ambiente concreto e reale, che diventa occasione per raccontare un mondo snaturato dallo spazio geografico in senso stretto per essere collocato e collocabile in ogni altro luogo che condivida quelle stesse ferite, quella stessa desolazione.

“PUDORE NON NE HA LA DORA CHE SCORRE INTERIORE/ E SI ADDOLORA COME TUTTO CIò CHE NON SI PUò FERMARE”

Ritroviamo allora la solitudine nella moltitudine narrata da E. A. Poe a circa metà ‘800 in “L’uomo nella folla”, durante la seconda rivoluzione industriale, che visionariamente aveva previsto alcuni dei tratti costitutivi della nostra società attuale:

“PENETRO FELPATO IN UN TUTT’UNO CON LA BOLLA/ PER USCIRE DELICATO DAL FRASTUONO DELLA FOLLA”

“De-costruisciti/ ricostruisciti/ distruggiti e dai tuoi rigurgiti ricuciti/ se parli reciti/ trova te stesso in attimi taciti.”

Può darsi è il pezzo che conclude il viaggio in mezzo ai dannati e contiene in sé barlumi di speranza, la volontà di una guarigione oltre il degrado:

“Sarà una mia impressione, può darsi/sarà che si sapeva già, può darsi/ sarà che nel decidere il da farsi/ bisogna uccidersi ed infine ricomporsi.”

“Morto tra i vivi/ vivi tra i morti/ non puoi risorgere se prima non tramonti.”

Charles Bukowski diceva: “Devi morire un po’ di volte prima di iniziare a vivere davvero”. L’ultima traccia sembra infatti un antidoto alla narrazione presente fino ad ora, la sofferenza può allora assumere un senso, l’abbandono non è destinato a durare per sempre.

Mr. Brown: “Per questo lavoro è stato fondamentale unire le mani sul foglio, scrivere assieme; la collaborazione è stata davvero come uno specchio fra le tre penne in cui tutto veniva riflettuto e ciò che ognuno di noi ha scritto ha finito per influenzare le parole dell’altro. Non c’è comunque un’interpretazione unica ed è giusto così, perché questo non è un lavoro che porta certezze, ma piuttosto che stimola dubbi.”

Potete supportare gli artisti comprando Poesie per la Dora su Bandcamp oppure ascoltando il disco su Spotify. Buon ascolto!

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