«Prendiamoci cura attivamente della nostra salute mentale!» – Intervista a Davide Shorty

Davide Shorty Solo Con Me

In occasione dell’uscita ufficiale di Solo Con Me, il nuovo singolo di Davide Shorty con i Funk Shui Project assieme a Johnny Marsiglia, abbiamo avuto nuovamente il piacere di poter parlare con l’artista siciliano.

Uno degli aspetti più affascinanti del nostro lavoro è sicuramente quello di aver la possibilità diretta di poter confrontarsi con gli artisti e di conseguenza il loro mondo, ma soprattutto le loro idee. In questo caso si è andati leggermente oltre le mie aspettative, toccando delle tematiche davvero intense e personali che lo stesso Davide ha ammesso di non aver assolutamente paura di affrontare.

Solo Con Me rappresenta solo un piccolo frammento di quello che ha vissuto il rapper siciliano, ma anche una bella pacca sulla spalla per chi si riconoscerà in lui, per tutti quelli che ne hanno bisogno. Oggi è ufficialmente online su tutte le piattaforme digitali per Totally Imported e distribuita da Artist First, prodotta dal lavoro minuzioso dei Funk Shui Project e con la collaborazione di Johnny Marsiglia.

Per l’occasione ci siamo sentiti telefonicamente per poter raccontare del primo anno trascorso da front-man dei Funk Shui, delle ultime esperienze assieme al gruppo e anche parlare del loro nuovo album in arrivo, di cui ne saprete di più solamente il giorno dell’uscita ufficiale. Ma sono anche orgoglioso di aver potuto tirare fuori delle dichiarazioni così profonde e personali che riguardano aspetti di “vita vera”. Davide in questo ha dimostrato di avere un cuore enorme. Vi prego, sappiatene fare un buon uso:

Quasi due anni fa ci siamo visti per la prima volta ed era un febbraio davvero ostico. Si parlava del tuo primo disco da solista, dei tuoi viaggi e del primo tour in Italia. Da quel giorno ad oggi, quanto è cambiato Davide Shorty?
Davide Shorty è cambiato nel senso che è cresciuto. Quando ci siamo conosciuti io stavo ancora attraversando un periodo di depressione, nonostante cercassi di non darlo a intendere. Crescendo mi sono accorto di dover smettere di nascondermi. Ho cominciato anche a smettere di odiarmi. Ora, se c’è qualcosa che non va, non ho più paura di dirla, piuttosto che fare finta che vada tutto bene. Sono in un momento della mia vita molto consapevole e sono molto motivato. Credo stia andando tutto piuttosto bene.

Siamo partiti subito con un argomento abbastanza greve e personale. Sei d’accordo sul volerne parlare così apertamente?
Tutta la musica che facciamo proviene da vita vera. Quindi è giusto che si parli di aspetti personali, aspetti di vita reale. Magari non scendo nei dettagli della mia vita personale, però è giusto che le persone sappiano che dopo X Factor, abbia passato un periodo di depressione molto pesante. E che ho avuto modo di riprendermi grazie alla musica. Purtroppo, non sono mai voluto andare in terapia, che adesso però, ho intenzione di intraprendere quanto prima. Credo che sia una risorsa fondamentale per tutti e che chiunque dovrebbe considerarla una seria opportunità. Ci tengo a farlo presente perché l’occuparsi della propria salute mentale possa essere sdoganato dal tabù che gli è stato attribuito dalla nostra cultura, ovvero quella italiana. Il mio consiglio è quello di prendersi cura attivamente della nostra salute mentale, il più spesso possibile.

Non so se hai avuto già modo di conoscerlo, viste le tue esperienze in Inghilterra, ma in tal senso ti trovo molto vicino a Loyle Carner e al suo “confessional rap”. Ti ritrovi?
Guarda, Coyle (nome di battesimo di Loyle Carner, ndr) l’ho beccato giusto due settimane fa, al concerto di Common. Lui, proprio come me, è dislessico e abbiamo anche diverse conoscenze in comune. Lo incontrai anche al concerto di Jordan Rakei, dove mi esibivo come corista. Alla fine di questo live, facemmo due chiacchiere e gli confessai la mia passione per la sua musica. Ci siamo persi di vista fino a questa data di Common dove ho avuto l’occasione di poterlo ringraziare da rapper dislessico ad un altro (ride, ndr) per aver confezionato una bomba di disco (Not Waving, But Drowning, ndr)! Mi ha subito compreso e ci siamo anche abbracciati!

Formare squadra con i Funk Shui Project la consideri una svolta o un consolidamento della tua attitudine da artista?
Un po’ tutti e due. La svolta è costituita dal fatto che ho trovato delle persone con cui fare hip hop come ho sempre desiderato. Loro hanno un’attitudine e un modo di produrre molto simile a quello che uso io. Insomma, dal punto di vista tecnico è stato totalmente naturale lavorare e ritrovarsi. Abbiamo molti ascolti simili. Invece il consolidamento arriva della mia attitudine: ho finalmente lavorato sul mio rap, come si deve. Erano un po’ di anni che avevo abbandonato l’italiano poiché ero rimasto davvero deluso da come andassero le cose nel nostro paese ed essendomi trasferito a Londra nei miei primi cinque anni di carriera, non feci nemmeno nulla per mantenere un certo “allenamento”. Non cantavo più in italiano, non parlavo italiano e li evitavo anche gli italiani per un periodo! Tranne i miei più cari amici ovviamente, specialmente quelli che facevano parte del gruppo (Retrospective for Love, ndr). Quindi, nonostante l’avessi ripreso poco prima dell’uscita di Straniero, mi sentivo comunque arrugginito. Poter lavorare con i Funk Shui Project è stato un consolidamento di quelle cose che avevo tralasciato, lasciandomele alle spalle per una questione “traumatica”, e che poi ho riscoperto e ricompreso. Scrivendo questo disco che uscirà il prossimo mese, in realtà, mi sono “sciolto di nuovo”. Da ragazzino ero molto più tecnico. Infatti, se vai a riascoltare il mio primissimo album, Piccolo, prodotto per La Grande Onda, ci sono dei testi in cui tutto è incastrato con tutto. Ci tenevo un sacco alla tecnica. Anche perché chi soffre di OCD e di ADHD, ne è sicuramente più attratto. Diventava un’esigenza assoluta far combaciare tutto con tutto, altrimenti non potevo considerarmi soddisfatto. Quindi mi sono divertito a riscoprire delle cose che prima mi facevano star male e che, però poi, grazie all’amicizia e grazie alle persone giuste, mi hanno dato una nuova vita.

Oggi è ufficialmente fuori il tuo nuovo singolo, che ripropone una collaborazione ormai più che collaudata tra voi e Johnny Marsiglia. Com’è nato Solo Con Me? Ce ne parleresti?
Johnny è mio rapper italiano preferito e non perché è un mio amico. Anzi, ti dirò, durante la nostra adolescenza, non scorreva buon sangue. La ragione principale per la quale eravamo divisi, era la rivalità tra due crew opposte di Palermo di cui facevamo parte ai tempi. Lui nella cricca dei Gotaste e io invece in quella dei Combomastas. La mia era una crew leggermente più tranquilla, si passava molto tempo in studio. Mentre l’altra era una crew un po’ più street. Nonostante l’appartenenza io cercavo di fare un po’ entrambe le esperienze: sia in studio che fuori. Dopo un po’ con la crescita, ci siamo capiti, ci siamo piaciuti e anche voluti bene. Sono convinto che sia il liricista più forte d’Italia, col flow più personale, il timbro più personale e con un’anima che stimo a livelli trascendentali. Ci sono molte cose che sto imparando da lui e probabilmente anche lui qualcosa da me. Tra noi c’è uno scambio costante.

Il pezzo è letteralmente nato in un pomeriggio, scritto e registrato circa un mese fa. Quando scrissi la mia strofa di Solo con me, lui iniziò a scrivere la sua, e ascoltando le sue prime otto barre, dissi “cavolo, devo assolutamente riscrivere la mia, questa roba è troppo forte!”. Ecco, questa è la forza dell’hip-hop. Quando ti chiudi con un amico in studio e lui spacca, ti fa venire voglia di spaccare ancor più anche a te. Non c’è mai quella competizione malsana. Si fa il panico! Ognuno nel suo modo personale, ma insieme. Lui è sicuramente più esperto di me dal punto di vista del rap, mentre io lo sono dal punto di vista delle melodie. C’è armonia, ci completiamo e ci compensiamo. In questo brano, all’inizio non sapevamo di cosa parlare. Poi riascoltando insieme il beat, siamo arrivati prima al ritornello e poi riflettendo su quanto ti ho spiegato sul mio periodo buio, mi sono chiesto perché non parlare di quei momenti lì. Visto che la mia musica verte per la maggiore sul fatto che l’uomo sia indubbiamente un animale sociale e che bisogna ritrovarsi insieme per poter resistere, questa volta ho voluto esprimere il concetto dello stare bene con sé stessi. Per andare avanti bisogna anche prendere una propria consapevolezza e quindi Solo con me mi è sembrata la soluzione più ovvia al problema. Ci sono dei momenti in cui non ci vogliamo bene abbastanza, quindi bisogna prima ritrovarsi, per poi donare del bene agli altri. Vi posso garantire che Johnny sarà sicuramente d’accordo con me su questo.

Terapia di Gruppo ha compiuto un anno poco più di una settimana fa. Tirare fuori un album all’anno è una proposta figlia delle pretese del mercato di oggi? Vi siete sentiti in qualche modo “costretti” oppure è stato un vero e proprio overbooking di idee da tirare fuori?
Assolutamente la seconda. Le pretese del mercato e le dinamiche annesse non mi sono mai interessate. Ho semplicemente bisogno di tirare fuori musica per vivere in quanto artista. Noi siamo musica, ne abbiamo bisogno. Quindi subito dopo la data di Firenze del tour di Terapia di Gruppo, Natty (Natty Dub, ndr) mi ha passato la cartella colma di beat nuovi. Lui e Jeremy si erano messi in studio a fare dei beats in maniera periodica, anche durante il tour. Li ascoltai nel van, poiché eravamo di ritorno dalla data di Firenze, verso Bologna. Mi piacquero subito, per cui chiesi alla squadra di riattivare i motori per ricominciare produrre altra musica, che poi si è materializzata in un disco. All’inizio doveva essere un EP di pochi pezzi ma non siamo riusciti a fermarci! Mi trovavo spesso a casa di Natty da solo, poiché quando usciva mi lasciava in camera sua nei giorni-off del tour. Avevo un sacco di idee nuove: mi mettevo a registrare dei provini e uscivano fuori i pezzi, uno dopo l’altro. E man mano che si creavano pezzi, realizzavo sempre di più che sarebbe stato un disco. Ma per il momento niente spoiler!

Dal primo ascolto di Solo Con Me sembra che stiate tornando a delle sonorità prettamente hip hop. A livello musicale, sarà questa la direzione del prossimo album?
Ti posso dire che questo disco, è un disco assolutamente hip hop. Quindi si. Ha diverse influenze tipiche della mia musica: soul, jazz e cantautoriali, ma è hip hop al 100%. Meno sperimentale rispetto a Terapia di Gruppo. Ciò non rappresenta un tornare sui propri passi, ma quanto un essermi riscoperto come rapper. Sai quante volte le persone mi hanno consigliato di rimanere sul canto? Beh, queste persone evidentemente non sanno che Davide Shorty è sempre stato un rapper a tutti gli effetti, uno scolaro dell’hip hop. Mi sento così e mi piace che sia così. Per me rappare è più importante del cantare. E tutti quelli che mi avranno visto mezza volta in televisione, non hanno mai compreso fino in fondo la mia natura. Indipendentemente da quanto possa sembrare bravo in una cosa piuttosto che un’altra, io voglio confermare la mia identità da MC e non mi interessa il giudizio della gente.

In un’altra nostra intervista dissi che spesso scrivevate i pezzi tutti insieme. È rimato questo il canovaccio del vostro processo creativo?
Nei testi nessuno ci mette mano e nemmeno la bocca (ride, ndr). Abbiamo però prodotto tutto insieme sin dal primo istante, riascoltando i beat e parlando dei possibili argomenti che avrei trattato. Il modus operandi è sempre più o meno costante. Quello che è cambiato dai dischi precedenti è l’attitudine. Ora sono soddisfatto e decisamente più felice della mia vita, questo disco ne è la dimostrazione. Sono determinato e bello incazzato!

Terapia di gruppo è un album che ha goduto e gode di una notevole longevità. Vi ha portato in giro per quasi tutta la penisola per circa un anno. Credi che questo feedback verrà conservato anche con il nuovo progetto?
Terapia di gruppo nonostante fosse ben lontano dalla partecipazione a X Factor, ha portato dei numeri anche superiori a quelli di Straniero che invece era il disco appena uscente da quel periodo. Quindi sì, è andata parecchio bene. Mentre adesso ho proprio la sensazione che anche questo album verrà compreso, perché io stesso, essendo in questo periodo positivo e consapevole della mia vita, ho la certezza che andrà bene e che faremo dei bellissimi live.

Ne deduco, che partirete quanto prima. Non vediamo l’ora di rivedervi!
Per me sarà una sfida. Essendo dislessico, cercare di imparare così tanti pezzi diventa sempre più difficile. Ma allo stesso tempo mi sento bello incazzato e ben stimolato, quindi non vedo l’ora di potermi mettere alla prova.  Il prossimo mese avremo una data a Roma che non farà parte del nuovo tour, che invece inizierà circa a dicembre. Facciamo il panico, bro!