Ha davvero senso specificare se una rapper è donna?

Se a rappare è un uomo o una donna non cambia nulla

Se a rappare è un uomo o una donna non cambia nulla.

Si dice spesso che, per capire sul serio una cosa, bisogna guardarla da più punti di vista, magari opposti tra loro. E così, l’altro giorno, mi sono ritrovato a fare la stessa cosa. Era appena uscita la puntata di Real Talk con protagonista Leslie. La rapper abruzzese, autrice di una performance più che inappuntabile, veniva celebrata un po’ dovunque come la migliore rapper donna d’Italia. Giusto – dicevo io tra me e me, ma qui ovviamente si cade nell’opinabile. Dopo un po’, però, l’entusiasmo lasciava il passo ai dubbi e alle domande; su tutte, quella che è alla base di questa riflessione.

Ha ancora senso, nel 2019, specificare il sesso di una rapper? Cioè è così fondamentale indicare che quelle rime le ha fatte una donna? La domanda sembra banale, ma non lo è. Così, per rispondere, ho cercato di guardare la questione dai due punti di vista opposti.

Non scadrò nei pessimi quanto retrogradi commenti che purtroppo si leggono ancora spesso e che in genere ruotano intorno al concetto secondo cui il rap non sarebbe una cosa da donne. Non c’è neanche bisogno di spiegare quanto questa affermazione sia in contrasto con la realtà delle cose. Ecco, per meglio specificare, dire una cosa così non equivale a esprimere un’opinione, ma a dire una stupidaggine.

Sì, ha senso perché…

Superato questo primo e doveroso step, per dare una risposta che possa essere utile, non si può analizzare la situazione in maniera astratta o superficiale, ma bisogna guardare la concretezza delle cose. Volendo, si potrebbe parlare del rap come genere musicale prevalentemente maschile, senza un giudizio di merito, ma semplicemente perché gli artisti sono in gran parte uomini. Ora bisogna chiedersi il perché di questa cosa. Sicuramente, nel linguaggio del rap, in certi suoi stilemi e modi d’esprimersi, c’è una visione maschilista che viene fuori. La donna, spesso – non sempre, e questo è bene precisarlo -, è la puttana, bitch, hoe, whore di turno e chi più ne ha più ne metta. Alla base di queste espressioni non c’è necessariamente un maschilismo reale da parte dell’artista – almeno spero – ma più retaggi di un contesto di strada che a volte tende ad essere esagerato più nei modi che nella sostanza.

In questo ambiente, se non maschilista sicuramente più a misura d’uomo, l’ascesa di artiste donna è forse più complessa e, per questo, è giusto sottolinearla. Un po’ come a specificare che quell’artista ha raggiunto la posizione nella quale è lottando contro più pregiudizi rispetto ai colleghi uomini, dovendo allontanare un numero maggiore di critiche eccetera.

Riconoscere l’essere donna di una rapper può voler dire, quindi, riconoscere allo stesso modo come anche le donne, generalmente poco rappresentate nel genere, riescano ad avere una artista che porti anche la loro voce, mostrando un punto di vista che non potrà mai essere quello di un uomo.

In un’epoca in cui sottolineare l’appartenenza di genere inizia ad essere, finalmente, meno necessario, dire che una rapper è donna può essere un modo per far sì che certi preconcetti vengano finalmente distrutti. Come a dire “Guardate! Queste rime le ha fatte una donna che spacca, quindi smettetela di dire che il rap è una cosa da uomini”.

No, non ha senso perché…

La “discussione” sulle rapper donna è tutta italiana. Dall’altro lato dell’oceano la presenza femminile all’interno del rap game, non è una novità e, com’è giusto che sia, non fa notizia e anche ribadire una cosa del genere assomiglia a svelare il segreto di Pulcinella. Troviamo donne che fanno rap in cima alle classifiche, come Cardi B e Nicki Minaj, appaiate ai colleghi maschi o davanti a loro. Altre, negli anni, si sono guadagnate lo status di leggenda del genere: Lauryn Hill, Lil Kim, Missy Elliot e chi più ne ha più ne metta. Abbiamo female MC’s che, pur non arrivando al grandissimo pubblico, spopolano nell’underground, tra cui Young M.A. e Rapsody, da poco uscita con un nuovo album. Ecco, il panorama è variegato e troviamo donne ad ogni livello di esposizione mediatica per quanto riguarda il rap, ed è così da anni. In Italia, invece, la questione sembra essere venuta fuori negli ultimi due anni, con l’emergere di una serie di artiste che hanno costretto il pubblico a prendere atto di un qualcosa che, innanzitutto, non esiste da oggi – La Pina e Carrie D vi dicono nulla? -, ma che soprattutto dovrebbe essere normalità, non fonte di dibattito. Sta di fatto che nello stivale nessun rapper donna ha mai raggiunto o superato il livello di successo dei colleghi maschi.  C’è da chiedersi il perché,  trovando la risposta o nel ritardo culturale e sociale italiano sulla questione di genere o nella più tardiva esplosione del rap come fenomeno musicale realmente di massa. Probabilmente le due risposte sono entrambe vere.

Seguendo questo ragionamento, quindi, sottolineare il sesso di un’artista donna, non serve a far altro che sottolineare una “stranezza”, un’anomalia, e far sì che quindi continui ad essere percepita come tale. Se si vuole che ciò non accada potrebbe bastare non specificare più a quale genere appartiene un/una rapper, in modo da lasciare la sua musica come unico elemento da giudicare, per evitare stupidi luoghi comuni o atteggiamenti protettivi da quote rosa.

Ritornando all’esempio di Leslie, con il quale ho aperto questo articolo, possiamo dire che lei è tra i rapper più forti d’Italia non perché viaggi in una categoria a parte, semplificata, ma perché, partendo proprio dalla sua performance a Real Talk che mi ha fornito lo spunto, ha mostrato – lì come altrove – skillz, flow e rime di livello assoluto.

Quindi?

Questo articolo è partito da un dubbio. Si arriva, però, a una certezza solida. Non è ammissibile – ancor di più nel 2019 – valutare un artista in base ad aspetti suoi personali, né tantomeno in base al genere, invece di tenere in considerazione esclusivamente la sua musica. Non ci dovrebbe neanche essere bisogno di parlare d’altro. Certo è – e qui si ritorna a quanto detto prima – che il rap, principalmente in Italia, vive una sua condizione particolare di asimmetria e squilibrio di genere, quindi tener conto dei maggiori sforzi fatti da una donna per affermarsi può essere un modo per riconoscerne la caparbietà e il talento. Questo, quindi, può essere l’unico atteggiamento che giustifichi una specifica del genere, cioè il voler esaltare l’essere donna come possibilità di arricchimento per un ambiente troppo maschile e, quindi, molto meno interessante. Quote rosa, però, non ne servono e un’artista, se valida, non ha certo bisogno di un giudizio più morbido esclusivamente per il suo essere donna, ma solo di un pubblico finalmente libero da pregiudizi discriminatori e stupidi.

Ciò che d’altra parte è necessario fare è tentare di cambiare quei toni evidentemente maschilisti che permeano grossa parte della produzione di questo genere. L’ho specificato, certi atteggiamenti – che in alcuni casi sembrano quasi connaturati al rap – derivano da un retroterra culturale ben preciso e sarebbe un errore e una mistificazione analizzarli in astratto e anche prenderli troppo sul serio. Ma, dato che ormai anche questa musica un po’ di anni inizia ad averli, non sarebbe più facile mettere tutte queste cose semplicemente da parte?

Grafica di Mr. Peppe Occhipinti.