Public Enemy – Enemy who?

Public Enemy

Prima puntata di una serie di racconti sulla storia dei Public Enemy.

“Cycles, cycles, life runs in cycles, new is old, no I’m not no psycho”  

“Cicli, cicli, la vita si ripete, il nuovo è vecchio, no non sono pazzo”

(Timebomb – Yo! Bum the rush)

Adolphi College (NY), inizio degli anni ’80. Carlton Ridenhour (chiamato prima Chukie D e poi Chuck D, dove  “d” per dangerous) e William Drayton (divenuto Flavor Flav) si incontrano in condizioni molto diverse ma entrambi accomunati dalla passione per l’Hip Hop.

Il primo studia grafica e lavora come dj nella radio locale WBAU dilettandosi anche come mc, mentre il secondo lavora per il padre e sovente scrive rime. “Chuck D and Spectrum City” è il nome del gruppo che rilascia il singolo “Check Out the Radio” realizzando anche un video che prende presto il nome di “Public Enemy #1”. Intorno al 1986, Bill Stephney, l’ ex direttore del WBAU viene ingaggiato da una label e il suo primo compito è quello di far firmare Chuck D in quanto la loro canzone (con annesso video) aveva già fatto rizzare le orecchie a molti.

Il tentativo è quello di emulare in parte lo stile fresco e alla mano dei Run DMC, ma parlando di temi politici che centrassero il disagio degli afroamericani. Carlton così recluta la Spectrum City, di cui faceva parte anche Professor Griff nominato Minister of Information (Would you like to know more?) e un dj locale chiamato Terminator X… un personaggione senza mezzi termini. Sono appena stati creati i Public Enemy!

I’m a MC protector U.S. defector, South African government wrecker, Panther power you can feel it in my arm, lookout y’all cause I’m a timebomb

(Timebomb)

Il loro inizio li vede aprire i concerti dei Beastie Boys, anche se nella fase calante della loro carriera. Ma dopo una brevissima gavetta nel 1987 abbiamo il primo album made by Def Jam: “Yo! Bum rush the show”.

Public_Enemy_yo_bum_rush_back_n_the_day_buffet

Che dire? Come ogni grande artista o gruppo l’album di esordio rimane immortale. E anche in questo caso è così: metrica estremamente lineare e in parte piatta (ma ragazzi siamo nel 1987!) che esprime temi politici senza la benchè minima censura e senza alcun tipo di morbidezza. Qualcuno ha detto conscious Hip Hop? Beh questi ragazzi sono il conscious Hip Hop! Non illudiamoci però perchè come tutti i loro album anche questo è difficile da digerire in un sol boccone.

Il parlare della condizione degli afroamericani è direttamente o indirettamente in tutte le tracce, anche quando si affronta il tema della prostituzione (“Sophisticated Bitch”) o dello spaccio (“Megablast”). Quest’ultima traccia apre però uno scenario diverso: sul banco degli imputati non ci sono solo i venditori ma anche gli acquirenti. Sono i giovani neri d’America a dover cambiare il loro destino e devono farlo fin da piccoli:

Children, it’s not too late

Qui si nota benissimo come un altro mostro sacro si sia chiaramente ispirato ed abbia a pieno condiviso questa maniera di vedere il mondo… chi se non Tupac?

Mind revolution our solution, mind over matter mouth in motion, corners don’t sell it no you can’t buy it, can’t defy it cause I’ll never be quiet, let’s start this right

(Righstarter)

Il sapere non lo puoi comprare negli angoli, la rivoluzione deve iniziare dall’educazione. Nell’album è poi presente la traccia che è diventata un manifesto del gruppo: “Public Enemy Number 1” dove si dice forte e chiaro il perchè loro sono i numeri uno (You got no rap but you want to battle, It’s like having a boat but you’ve got no paddle”)!

Il secondo album, intitolato It Takes a Nation of Millions to Hold Us Back tarda pochissimo ad arrivare, solamente un anno. E’ il 1988 e le cose da dire e per cui battersi fanno parte di una lista infinitamente lunga, anche se come loro stessi cantano “I’m the Duracell”. Questo progetto presenta un’evoluzione parziale: il suono è più elaborato e gli scratch di Terminator X sono più efficaci (If you kill my dog, I’mma slay your cat citazione di Muhammad Ali per esempio), mentre la produzione scritta resta sostanzialmente invariata. Da dove partire?

Innanzitutto è bello vedere come questi sound siano ancora vivi e vegeti. Se vi dico Show’ em wotcha got e Lirico Terrorista (Bassi Maestro e Guè Pequeno) avete già capito?

Rimanendo sul tema delle analogie e del riutilizzare, una traccia presente per esempio si chiama “Party for your right to fight” che non è altro che “Fight for your right to party” con un diverso ordine delle parole dei già citati Beastie Boys.

O ancora il saluto e la dedica al pluripremiato Kurtis Blow nella canzone Prophets of rage con le parole Follow a path of positivity you go, some sing it or rap it or harmonize it through Go-Go”.

Insomma, oltre alla protesta i contenuti e lo studio non mancano mai. Sono presenti critiche alla tv e ai programmi spazzatura (“She watch Channel Zero!?”) e alla magistratura: stupendo è lo storytelling davanti ad una corte nella traccia “Cought, can i get a witness?”; anche se il principale dei temi resta sempre lo stesso:

“Have you forgotten that once we were brought here, we were robbed of our name, robbed of our language. We lost our religion, our culture, our god…and many of us, by the way we act, we even lost our minds”

(Discorso di Khalid Abdul Muhammad della Nation of Islam che inizia la canzone “Night of the living baseheads”)

Ho volutamente lasciato per ultimo il pezzo cardine di questo album e uno dei più rappresentativi della loro carriera: Don’t believe the hype. Non c’è nessuna citazione che basterebbe e non potrei spiegare più di quanto la canzone non dica già. Buona ascolto.

Grafica di Lorenzo Alaia e Ciro Maria Molaro.