«Taglio le parole per lasciare spazio ai sogni» – Intervista a Quentin40

Quentin40

40, il nuovo album del rapper di Acilia, è in rampa di lancio. Noi lo abbiamo intervistato in Sony, durante un incredibile round table.

Tutti lo conoscono grazie al remix di Thoiry, hit mainstream capace di coinvolgere un pubblico eterogeneo e popolare. Con l’intuizione di Achille Lauro infatti, il pezzo originale ha conosciuto una nuova vita, con Boss Doms, Gemitaiz e Puritano, che l’hanno trasformato in uno dei brani più cliccati e virali di sempre.

Oggi 29 marzo, questo giovanissimo artista ci presenta il suo primo album solista, dal titolo 40, una grande sfida per lui, ”una vera e dura prova” che racconta di aver concepito in due momenti diversi della sua vita: il primo quando ancora questa cosa per lui non aveva futuro o per lo meno un pubblico, e in un secondo momento quando è diventata invece richiesta da tanti.

“Sono stato bambino, ho sognato di fare il cantante, ho sognato tante cose oltre quello che poi ho avuto davanti agli occhi, ma sono qui perché non ho mai smesso di continuare a sognare per portare avanti quello che realmente voglio e quello che veramente sono”.

L’album, composto da tredici tracce, nonostante raccolga già dei brani editi, promette di regalare grandi emozioni ai fan. Oltre agli inediti presenti nell’album, Quentin40 ci assicura delle grandi sroprese nei suoi prossimi live. Tutti i tredici brani sono stati prodotti da un unico producer, il suo amico e socio di sempre, Dr. Cream.

Quentin40, al secolo Vittorio Crisafulli, è un ragazzo di ventitré anni. Arriva al round table con il marsupio sulla spalla, con la tuta e il taglio da zarro. E poi c’è la sua voce, colma di emozione. È un ragazzino proiettato nel grande mainstream del rap che guarda tutto come se le cose fossero una novità. Eppure ha una grande energia, una grande fierezza, delle sue origini e di tutto il resto. Un ragazzo con un flow da paura, con questa idea di tagliare le parole, con tutto il peso che si porta addosso, poco prima che il suo disco esca fuori. È qui che vive un sogno, che da una parte lo spaventa e dall’altra invece lo carica. Ma c’è un sacco di umiltà nei suoi occhi, è un ragazzo che dice cose belle, che parla di responsabilità nei confronti dei suoi amici, delle persone che lo ascoltano.

Vivere nel rap è una sfida quotidiana, tra migliaia di cattivi maestri, soldi, tensioni, dissing, cose. Quentin è seduto qui, e ci rivediamo un po’ in lui, quando volevamo volare via senza mancare di rispetto ai nostri principi. Una bella promessa, aria fresca, una grande energia. Ci vediamo case popolari, strade, sogni, cieli di provincia, parchetti. E poi che musica.

Il round table comincia con la proiezione del video di Botti che, come marchio di fabbrica, mantiene il piano sequenza già provato con successo in Giovane1. Ricordandoci del film L’Odio a cui si è ispirato, gli chiediamo subito dei cugini d’Oltralpe.

L’ispirazione che viene dal rap francese, perché?
«Io ignoravo tutta quella parte di rap. Questo lo devo ai miei migliori amici con cui sono cresciuto, che non hanno fatto altro che farmelo ascoltare. Poi uno comincia ad apprezzare e a informarsi, trarne un giudizio.»

Per completare la domanda. Oltre all’aspetto musicale, i francesi possono anche insegnare una sopravvivenza di strada?
«Diciamo di sì assolutamente, io penso che sia una cultura vera e propria la loro, trasversale. Mi ispira da morire. Il rap italiano si è sempre ispirato da quello che succedeva fuori. Ci siamo molto ispirati agli americani, io penso che mi piaccia guardare la Francia, perché amo la loro cultura, la fierezza della loro identità.»

Dai parchetti, sparato nel mainstream. È difficile tenere la spontaneità che avevi quando hai cominciato a fare questa cosa? Soprattutto ora che è diventata una professione?
«Io sono qui a Milano, nel fulcro dell’hip-hop, e ancora mi stupisce l’idea di trovarmi in questa dimensione. In questa città ci sono un mare di opportunità, le cose possono succedere, una realtà inimmaginabile se vista dalla prospettiva delle mie origini. E in un certo senso io con la testa sono ancora là, dove sono cresciuto. Mi siedo con i miei amici e faccio la musica come piace a me. Ma è anche vero che, stando qui, mi rendo davvero conto delle potenzialità che ha la musica, capace di cambiare una carriera e di dare un futuro.»

Questa tua caratteristica di tagliare le parole, che ti ha reso unico nel tuo genere trasformando il tuo rap in qualcosa di innovativo, possiamo considerarla alla stregua della tag di un writer? Ossia qualcosa di istantaneamente riconoscibile?
«E perché no? Io questa cosa la porto addosso con tanta naturalezza e con tanta fierezza. Mi piace essere Quentin40, “quello che taglia le parole”. Anche magari quelli più grandi che hanno ascoltato i miei pezzi mi riconoscono così, “quello dello Zoo, quello che taglia le parole!”. Insomma, è una cosa mia, che mi piace sia di tutti. A volte penso, lascio i bianchi dopo le parole, riempitele voi.»

Dal round table poi arrivano altre domande, come per esempio sulla collaborazione con Fabri Fibra.

Com’è nato? E cosa si prova a passare in un brevissimo tempo da fan a collaboratore di un nome così importante?
«È ancora incredibile per me, non ho avuto il tempo di immagazzinare la cosa. Oggi per me è stato fantastico poter uscire con un pezzo del genere. Mi spiace solo che il pubblico lo abbia ascoltato più per i nomi che per il suo contenuto. Ma è comunque per me una grande cosa, che porto dentro, un grande onore.»

E poi:

Cosa rappresenta l’artwork della copertina dell’album?
«È stato il primo aspetto fondamentale di cui ci siamo voluti occupare. L’intento del primo disco è proprio quello di metterci la faccia. Questo è stato il nostro “glam”, perché la prima cosa che balza all’occhio invece è che è proprio la faccia ad essere assente. È l’unico particolare che manca, è quella componente di immaginario che abbiamo voluto dare e che rappresenta la struttura del disco, una sorta di surrealismo che andasse a riempire la metà di queste parole che abbiamo lasciato in bianco.»

Dai giardinetti di Acilia a Milano, in Sony. Durante il round table abbiamo percepito l’emozione, ma anche la grande serietà e professionalità di un artista ancora giovane e sognatore. Ci piace pensare che la scena hip-hop possa vantare un esponente come lui, per la freschezza, le idee chiare e la purezza che lo contraddistinguono.

Sicuramente sentiremo parlare tanto del suo ra/ e della sua vo/ di fare be/.