Pacman XII e la Donna delle fate – Recensione

Pacman XII

Banshee: dalla leggenda irlandese ad un suono lampante.

Pacman XII, componente della Do Your Thang, è appena uscito con un lavoro dalla freschezza assoluta che prende il nome di Banshee, terzo volume di una serie di pubblicazioni denominata Ambula Ab Intra.

Termine prestato dalla mitologia irlandese/scozzese, che letteralmente significa “donna delle fate”, figura femminile spettrale e perennemente piangente che si manifesta saltuariamente tra i fiumi e le paludi della Britannia.

“Mi dice: Bravo, adesso giura che anche Giuda è umano
E chiudo l’altra mano in mudra, come un Buddha urbano”

L’album si apre con Mudra (gesto delle corna che nella filosofia buddista simboleggia lo scacciare i demoni e i pensieri negativi), che lascia presagire già il carattere spirituale del lavoro. Plz Bro ci catapulta subito in un mondo di sonorità forti e voci deformate, facendoci scendere di qualche girone dantesco. Seiseisei non può che confermare questa prima impressione:

“Confesso col talento
Se vuoi fermarmi un colpo al plesso fra, ma col paletto”

Il male continua a viaggiare sulle stesse frequenze, con qualche rimando d’attualità (“Generazione fra sfruttami e vengo”). Poi Predator con produzione e scratch del sempre presente Alan Beez continua a martellare i timpani. Molto interessante è il suono di ACDO, diverso dal resto delle produzioni e più incalzante.

Mettine un po’ è forse il brano più significativo dell’album, capace di entrare in testa con irrisoria facilità grazie ad un testo molto “easy” e ad una base quanto mai adatta.

“Alza le mani, muro
Cazzo ci vieni ai miei live, fra
Se state fermi coi pali in culo
Tornatene pure in branda
Fumo poi corro per prati nudo
Non vedo, ho gli occhi a serranda
Non è il successo che tarda
Frate rispetto è già troppo ma è il conto corrente che manca”

Tiritera è un altro bel pezzo, con un concept chiaro e definito, capace di andare dritto al punto fin da subito.

“Mamma mi manda messaggi vocali
Mi dice: Quand’è che mi pensi?
Ed ora che ho fatto trentanni sto quasi capendo i valori dei piccoli gesti”

Tabaccai è un’altra bella canzone, che è indispensabile per chiudere il cerchio delle produzioni di stampo più elettronico e spettrale, che sembrano trarre ispirazione dal celebre e lugubre motivetto di “Lavandonia” dei Pokemon che tanto ha fatto scalpore in Giappone. Così inizia anche la parte più introspettiva dell’album di Pacman XII, solamente assaporata fino ad ora.

Fragole ci porta alla chiusura dell’album, con un suono ed un flow molo diversi dai precedenti e in cui per la prima volta viene utilizzato massicciamente l’autotune, con un risultato agrodolce.

Transierunt è una chiusura molto forte, dove viene ribaltato uno stile di scrittura molto più leggero dei pezzi precedenti. Un pezzo dedicato al padre scomparso, alla propria crescita e alla lotta coi demoni interiori che aleggiano in tutti i pezzi. Qui spicca la capacità di scrittura di Pacman, già adatta a grandi palcoscenici. Il tutto si chiude con una serie di urli molto inquietanti e che lasciano una forte sensazione di sconforto nell’ascoltatore.

“E dopo cambia tutto e vedo solo luoghi bui
Dovete farvi forza mamma è sola e senza scorza se non c’è più lui
Io faccio scorta, penso a vivere sbando
Poi diventi ghiaccio e trovi un fine nell’alcool”

L’album nel suo insieme è estremamente d’impatto, nonostante la sua ristretta durata, con flow non ripetitivi e testi che spaziano su diversi argomenti e tonalità. Unico neo, a mio personalissimo parere, la presenza di un numero abbastanza elevato di barre incentrate sul ruolo della cannabis e del fumare, che rischiano di far accantonare diverse canzoni come “banali e stereotipizzate” al primo ascolto.

Nonostante questo, le produzioni sono tutte di livello e cavalcate nella giusta maniera, rendendo il progetto meritevole di più di un ascolto. Pacman XII ci mostra ancora di essere un ottimo cantante ed un punto di riferimento della scena romana, nella trepidante attesa di trovare una conferma al massimo livello nazionale.