«Ho trovato il modo di lavorare con la mia storia» – Intervista ad Amir Issaa

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Intervista ad Amir Issaa tra il suo libro Vivo Per Questo, il relativo tour all’estero e l’importanza, al giorni d’oggi, della conoscenza.

Se ci fosse una classifica degli artisti che meriterebbero più visibilità al giorno d’oggi nel nostro Paese inserirei senza remore il nome di Amir Issaa. Probabilmente nessun rapper italiano ha un curriculum simile al suo, tra un libro pubblicato, due tour negli Stati uniti e uno in Giappone e innumerevoli dischi e collaborazioni.

Abbiamo voluto scambiarci due chiacchiere:

Nel tuo libro si può leggere «Chi si avvicinava a questa cultura negli anni Ottanta lo faceva perché non si riconosceva in nessun’altra dimensione o mentalità. Era una via di fuga»: ora che questa dimensione è alla portata di tutti, cosa pensi che in futuro potrà nascere o “essere importato” dal resto del mondo per esprimere i bisogni e la voglia di indipendenza delle nuove generazioni?
«Io penso che la storia sia fisica, tutto quello che è successo continua a succedere, non credo che non ci saranno più sottoculture o comunque movimenti alternativi, ci saranno sempre, semplicemente con il tempo e la nostra età che avanza ognuno di noi avrà sempre più difficoltà nell’intercettare nuovi tipi di sottoculture. Ad esempio, io quando avevo quindici/sedici anni mi rispecchiavo in quello che per me era la cultura hip-hop in quel momento in Italia, mi piaceva molto. Oggi alla mia età posso fare più fatica a rivedermi nelle nuove generazioni, nel loro stile e in tutto quello che fanno ma è normale. Le nuove generazioni di ascoltatori e di artisti stanno vivendo il loro momento, lo stesso che ho vissuto io a sedici anni, quindi secondo me risuccede tutto quanto, non penso sia tutto finito qui, assolutamente ci sarà tanto da vedere e ci saranno tanti cambiamenti, me lo auguro proprio.

Ci sarà sempre un sottogenere e un qualcosa di mainstream, come quando ero più piccolo e c’erano Dj Flash e gli Articolo 31. Capisci che non avrebbe senso che uno di quarant’anni come me si metta a criticare uno di quindici».

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Nel 2018 ormai anche l’Hip Hop italiano ha alle spalle quasi 30 anni di attività e ci sono tante ramificazioni dal punto di vista musicale e non solo. Quanto credi sia importante per una nuova leva possedere un bagaglio culturale anche lontano dal tipo di sonorità che ricerca? E secondo te sono molti i nuovi artisti che hanno studiato per crearsi questo background?
«Per me è fondamentale nella vita avere il knowledge, non il rap; per me la conoscenza è qualcosa che fa parte del tuo bagaglio culturale e non solo di rap. Io cerco sempre di non fare un discorso univoco solo sul rap ma di spostare sempre questi discorsi anche all’esterno, perché poi l’approccio che c’è è uguale anche in altri ambiti. Nel senso se tu vuoi essere considerato dagli altri, soprattutto dagli addetti ai lavori e vuoi avere un’approvazione, devi conoscere la storia. Altrimenti rischi veramente di passare per uno che si è improvvisato. Ma in tutti gli ambienti è così.

Quando vado nelle scuole, dove tengo laboratori e incontro i ragazzi anche per parlare del mio libro, molto spesso i ragazzi mi fanno moltissime domande sul rap, una delle domande tipiche è “Cosa pensi di Sfera Ebbasta?” e questa cosa però mi fa piacere, perché mi da la possibilità di avere davanti ragazzi giovani e nuove generazioni e trasmettergli la storia, fare un po’ da ponte e dare un punto di vista. Per provocarli, se qualcuno che mi dice che non piace il rap chiedo sempre cosa gli piace, e dalla loro risposta cerco di capire se conoscono quella cosa.

Se vuoi avere voce in capitolo e vuoi aggiungere un pezzetto a questo puzzle grande del rap in Italia sarebbe buono per te conoscere quello che è successo prima, anche per capire dove stai andando. Conosci il passato per andare avanti ed essere credibile. C’è da dire una cosa però: quando noi abbiamo iniziato non c’era un cazzo, non potevi permetterti di essere uno così di passaggio, perché se volevi fare parte di questo movimento era implicito il fatto che tu ne sapevi, oggi non è così. La società è questa e non possiamo farne una colpa a chi oggi ha più possibilità di quante ne abbiamo avute noi. E nonostante oggi ci siano più possibilità e soprattutto più mezzi come internet, che potrebbe permettere a tutti di diventare ancora più esperti, tanti ragazzi non li usano, non hanno proprio l’intenzione di andare a sapere cosa è successo. Quando ho fatto il servizio con la Dark Polo Gang sono stato cinque giorni con loro, ho capito un sacco di cose, tante cose della nuova generazione, come ragionano, come fanno le cose, mi è servito molto. Sono stato aperto verso il loro universo e per questo spesso con quelli della mia generazione non mi trovo molto, perché sono rimasti troppo chiusi sul passato, il nuovo fermento invece deve dare più stimoli, ma snobbano a priori le nuove uscite ed è li che sbagliano. Anche perché oggi esiste ancora una realtà underground viva, piena di nomi interessanti come ad esempio, per fare un nome, MezzoSangue».

Parlaci un po’ del tuo tour negli Stati Uniti: che tipo di accoglienza hai trovato? Cosa ti è rimasto più impresso?
«Ho vissuto diverse esperienze particolari. Ho fatto un podcast audio tutto in inglese con una crew di San Diego che fa interviste ai rapper locali e abbiamo parlato di come l’hip hop mi abbia salvato, mi sia servito per esprimermi e anche per guadagnare dei soldi. Ho cercato di spiegare come a me interessi rimanere genuinamente nella storia di questo genere in Italia. Una cosa interessante e inaspettata è successa a San Diego State University, dove c’è un archivio di Aelle che Joe Sciorra (fratello dell’attrice americana, Annabella Sciorra) ha donato alla docente Clarissa Clò e insieme a loro abbiamo fatto un documentario nel quale parlo del rap italiano sfogliando le riviste. Curiosamente in una di queste c’ero proprio io in copertina da ragazzino (ride, ndr), oltre a Dargen D’Amico, Nesli, Paura, Macro Marco, Gianni KG, Maxi B e tanti altri. Mi ha colpito molto parlare del rap americano negli Stati Uniti, mi ha fatto capire che c’è un approccio diverso, credo che ci tornerò presto».

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Progetti per il futuro? Ci sarà un nuovo disco in arrivo o continuerà la tua attività letteraria?
«Uscirà sicuramente musica nuova, non so ancora se ci sarà un album o una serie di singoli, diciamo che ci sarà una nuova formula che sto cercando di capire come adattare. Uscire con un album intero subito sarebbe un po’ prematuro in quanto è da un bel po’ di tempo che non esco con tanta musica, quindi per ora voglio far uscire fuori dei singoli con street video, video freestyle per riaccendere un po’ la cosa.

Tra i miei progetti ci sarà sicuramente un nuovo libro – ho già avuto qualche proposta interessante – e continuare a lavorare per la tv e il cinema. Continuerò i tour nelle scuole in cui utilizzo il rap per canalizzare messaggi a scopo didattico. È un progetto a cui tempo molto e vorrei finalmente metterci una bandierina sopra».

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