“68” è il numero fortunato di Ernia – Recensione

Ernia

“68” è l’esordio ufficiale di Ernia dopo l’ottimo lavoro svolto con “CUUU/67”. Sarà riuscito a fare un passo in avanti? Forse sì.

È passato poco più di un anno e mezzo da quando il nuovo Ernia ha fatto il suo ingresso nella Serie A del rap italiano. Un trascorso particolare il suo, iniziato sin dai tempi (non sospetti) dei Troupe D’Elite che – come ogni lavoro che si rispetti- hanno rappresentato la sua personalissima gavetta. Solo che nel rap game quest’ultima è più una prova di resistenza e temperamento, motivo per cui devi sopravvivere ad insulti, invidie e cattive presagi.  “Come Uccidere un Usignolo” –  integrato in seguito da “67” – rappresentava quindi il suo antidoto contro le malelingue. Con quel disco Ernia si è autoproclamato il Duca, grazie alla sua autorevolezza al mic che gli ha consentito di poter sviluppare il suo rap in modo bidirezionale strizzando l’occhio alla sana ignoranza del genere, fino a giungere ad analisi profonde e suggestive del suo vissuto.

La novità che introduce “68” – a nostro parere – è quella di mettere a tacere ogni tipo di etichetta che è stata affibbiata ad Ernia negli ultimi mesi.  Apprezzamenti come  “paladino del conscious rap” sembrano aver stancato il buon Matte che ha deciso di dare un’impronta forte alla sua musica senza permettere però alcun metro di paragone, né con i suoi precedenti lavori né con i suoi colleghi. Una scelta chiara ed efficace che rispecchia quella del titolo del suo primo album ufficiale. In molti si sono chiesti cosa mai potesse significare quel “68”, ermetico ed affascinante allo stesso tempo. Qualcuno lo ha addirittura paragonato a i moti rivoluzionari pensando che questi fossero metafora dell’album.  Invece no, “68” è semplicemente l’autobus che collega l’estrema periferia di Milano al Centro.  Bisogna vedere in quali di queste fermate farà capolinea Ernia.

ernia 68

“68” è un album figlio di ispirazioni differenti tra loro, motivo per cui la sua disomogeneità può esser croce e delizia a primo ascolto. Come affermato dallo stesso artista, il disco può essere ascoltato sia dall’inizio alla fine che viceversa, come suggerisce lo strano ordine in cui sono poste le tracce “Tosse (La Fine)” e “Sigarette (L’inizio)”. Una scelta inedita in Italia, ispirata a “DAMN” di Kendrick Lamar, la cui influenza può esser riscontrata anche nell’interessante “King Qt”. Le tracce più ragionate del disco invece non si limitano ad esistere ma preferiscono esplorare profondità più complesse, sia nella loro ricerca musicale che nel loro concept. Brani come “Paranoia Mia” o “Un Pazzo” hanno bisogno di tempo per essere assimilate ma risalta subito evidente il lavoro metodico svolto dietro alle parti cantate che il rapper milanese ha curato in ogni minimo dettaglio. Lo testimoniano il bridge ispirato di “Paranoia Mia” o la cantautorale  “Un Pazzo”,  sulla scia di Fabrizio De Andrè, cori compresi.

La vera notizia è che Ernia il meglio di sé lo dà nelle tracce che di ragionato hanno ben poco. È come se nei precedenti progetti si fosse gradualmente tolto le incertezze di dosso, permettendogli di acquisire una consapevolezza delle sue skills davvero impressionante. Ebbene sì, le tracce più spontanee o – più volgarmente – senza contenuto sono la fortuna di questo disco.  In “Simba”  tira fuori  forse uno dei migliori flow della sua carriera, “No Pussy” è l’erede designata di “Disgusting”, mentre “QQQ” sintetizza il tutto in un esercizio di stile di pregevole fattura. Dentro queste tracce ci sono rime fine a sé stesse ma anche provocazioni, metafore paradossali e similitudini folli. Ernia ha voluto divertirsi in fase di registrazione e non ha avuto timore di nasconderlo,

Il suo non voler esser “impegnato” a tutti i costi è quindi una dimostrazione di come non solo sia riuscito a sfuggire alla pressione ma di come sia riuscito ad assorbirla e reinterpretarla a suo modo, senza somigliare a nessuno. “68” non rappresenta il disco della maturità e per alcuni fan non riuscirà a sostituire il valore affettivo dei precedenti lavori ma è senz’altro un disco valido, forse un pizzico pretenzioso. Sarà il tempo a dire se le scelte contenute all’interno si riveleranno fruttuose o meno.