Diamo il giusto nome alle cose

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Young Signorino, Bello Figo Gu e tanti altri: è così scontato chiamarli “rapper”? Ed è così normale che la stampa generalista e di settore li pubblicizzi con la stessa facilità con la quale ha criticato fenomeni del tutto simili in passato?

Se state aspettando il classico articolo che grida allo scandalo citando Young Signorino, Bello Figo Gu e tanti altri, mi spiace ma avete sbagliato pagina. Il punto da cui voglio partire è l’esatto opposto: il trash è bello. Ognuno ha i suoi gusti come in ogni sfera umoristica ma tutto sommato, grazie soprattutto ai social e alla loro esponenziale diffusione, il trash è diventato patrimonio della nostra generazione, come una sorta di terreno comune dove confrontarsi, in un modo decisamente diverso e maggiore di quanto non avvenisse un po’ di anni fa. Non a caso, spesso, i nostri genitori fanno fatica a capire determinati meme.

Non voglio dire che il trash sia nato con i social network, anzi potremmo dire che è sempre esistito, basti pensare ai giullari di corte; probabilmente però, nell’odierno universo mediatico il fenomeno è, se non aumentato, quantomeno diventato alla portata di tutti. Potrei utilizzare il restante spazio di questo articolo per citare decine e decine manifestazioni di questo universo, ma basta fare un salto sul canale di Andrea Diprè per rendersi conto di quanti talenti (?) il nostro Paese abbia sfornato negli ultimi anni.

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Uno di questi è Bello Figo Gu, “intervistato” qualche tempo fa sul canale dell’ex avvocato. Ammetto di aver riso anche io guardando i suoi video su YouTube con i miei amici in fredde serate d’inverno, ma confesso anche di esser rimasto davvero sorpreso e triste quando ho appreso della sua recente pubblicazione editoriale e delle sue recenti interviste con i maggiori giornali e canali televisivi nazionali.

Come è potuto passare velocemente dall’incontro con Andrea Diprè a certi palcoscenici?

Il ragazzo di Parma non è né il primo e né l’ultimo ad aver fatto “successo” con questo tipo di comicità, ma quello che mi ha letteralmente affranto è notare come tutti ‒ da Studio Aperto a Sto Magazine, passando per Repubblica, Rolling Stone e Matrix Chiambretti ‒ lo abbiano considerato da subito un rapper, senza alcuna forma di remore. Se ci pensate bene, se avessimo usato lo stesso “trattamento” per Trucebaldazzi o per tutti i suoi simili qualche anno fa, più di una persona avrebbe storto il naso.

È infatti pieno di interviste in cui l’artista emiliano viene trattato come un qualsiasi artista della nuova scena, parlando di singoli, ispirazioni musicali e progetti ma tutti o quasi evitano di evidenziare una situazione decisamente palese: non ci si trova di fronte ad un rapper ma di fronte ad un comico, o al massimo davanti ad un rapper incapace.

Per fare un altro paragone, credo che nessuno, un po’ di anni fa, si sarebbe permesso di definire seriamente “artisti” il duo comico “Capsula & Nucleo” di Zelig. Il discorso è esattamente lo stesso, loro facevano ridere su un palco, Bello Figo Gu sul web. Persino gli “argomenti” delle canzoni e delle gag hanno delle somiglianze: un misto di satira, attualità e sarcasmo.

Rimanendo nel mondo digitale, non sono pochi ad esempio gli YouTubers che hanno registrato tracce rap negli ultimi anni (provando addirittura ad andare a tempo), ma credo che nessuno li abbia considerati rapper in maniera autorevole e nessun giornale abbia mai preso ponderatamente l’idea di intervistarli. Persino Rovazzi, nonostante quasi tutto il mondo lo consideri un rapper, non manca occasione di ricordare alle persone la sua lontananza dall’universo hip hop.

Se Rovazzi, vincitore di dischi di platino, si è descritto come un “comico musicale” e non è quasi mai stato intervistato da portali rap, perché non è avvenuto lo stesso con l’autore di “Pasta con tonno”?

La “musica” di Bello Figo Gu ‒ per quanto mi faccia ridere, lo ribadisco ‒ non è altro che comicità, che vi piaccia o no. Almeno per ora. Solamente un’idiota non lo comprenderebbe, basta anche solo leggere i titoli dei brani per capirlo. Vi assicuro che anche la santa donna di mia madre, vedendolo in televisione, è arrivata a capirlo.

Lo so, starete pensando che sono un pesantone e forse avete anche ragione, ma come diceva il buon Nanni Moretti, “le parole sono importanti!”.

E cosa c’entra Young Signorino? Anche per lui vale lo stesso discorso. Se possibile nel suo caso abbiamo una base argomentativa ancora più valida: un tragicomico dissing di qualche tempo fa ad Inoki, più qualche traccia sparsa qua e nel web ci bastano per dimostrare la sua totale incapacità di realizzare un brano rap o trap che sia. Al confronto un qualsiasi YouTuber potrebbe essere il nuovo Tupac.

Non essendo riuscito a sfondare nel modo “classico”, il ragazzo, da solo o con il probabile aiuto di una qualche sorta di staff, si è costruito questo personaggio e, numeri alla mano, sta avendo ragione. A differenza del suo corregionale ha già nella sua discografia una collaborazione con uno dei maggiori produttori del nostro Paese, ma come recita il vecchio proverbio, “non è tutto oro quel che luccica”.

Non voglio addentrarmi in discorsi legati ai soldi, ma è decisamente palese come questi due fenomeni trash (che ho citato solamente per vicinanza temporale) siano stati spinti da media di ogni tipo, gli stessi che, in altre occasioni hanno o difeso il rap “classico”, criticato fenomeni del tutto simili a questi o al contrario hanno difeso la trap, quella vera.

Non è un’accusa, è un semplice dato sotto gli occhi di tutti. A dimostrazione di ciò, se Young Signorino non avesse fatto l’ormai famosissima intervista con Rolling Stone ‒ ad oggi credo la più citata degli ultimi venti anni ‒ noi non sapremmo assolutamente nulla di questo ragazzo romagnolo.

Questi giornali e queste televisioni hanno ricevuto soldi? Non lo so. Quello che mi sta a cuore però è la salute del rap in Italia. Sia chiaro, non voglio un Paese dove esistano solo cassa, rullante, pantaloni larghi e jam, anzi, sono un amante di quasi tutta la trap. Ciò che però mi fa male è vedere la facilità con la quale si utilizzano certi termini nella nostra Nazione, confondendo ulteriormente le idee di quelle centinaia di migliaia di persone che hanno ancora la mente confusa riguardo il rap e che, ad esempio, hanno urlato allo scandalo leggendo la line up del Concertone del Primo Maggio.

È evidente che il rap stia probabilmente vivendo il miglior momento della sua storia nel nostro Paese ‒ almeno per quanto riguarda la diffusione ‒ ma, come ci insegna la storia della politica (anche quella recente), una crescita può arrestarsi da un momento all’altro se le sue radici non poggiano in qualcosa di solido e, almeno a livello mainstream, a mio avviso, potrà bastare davvero poco per sostituire il rap con una qualsiasi altra moda musicale, se si continuano ad alimentare certe dinamiche. Non a caso, un po’ di anni fa dei tizi chiamati Public Enemy lo avevano già capito.

Grafica di Matteo Da Fermo