L’incontro con Guccini, la vita da professore e la trap: intervista a Murubutu

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Qualche giorno fa abbiamo avuto il piacere e l’onore di confrontarci con una delle migliori penne del nostro Paese: Alessio Mariani, in arte Murubutu.

Quando mi hanno detto che avrei potuto realizzare un’intervista a Murubutu ammetto di esser stato davvero felice, ma poco dopo sono stato colto dalla più classica delle ansie da prestazione: non sapevo cosa chiedergli, o meglio lo sapevo così bene da avere il timore di fare brutte figure o domande banali. Non posso giudicare oggettivamente la mia intervista,  ma credo che dalla nostra chiacchierata siano usciti argomenti decisamente interessanti. Ecco cosa ci siamo detti:

È uscito da poco tempo il nuovo disco di Claver Gold, “Requiem”, nel quale tu hai realizzato l’intro: come è nato? E da quanto tempo conosci Claver?
«Ho conosciuto Daycol (Claver Gold, ndr) a Bologna in occasione di un concerto in cui era con Kyodo (membro del gruppo rap bolognese “Fuoco negli occhi”, ndr) che me lo presentò. Da lì cominciai ad ascoltarlo, notai affinità, appronfondii l’ascolto e cominciammo a sentirci fino a che lui mi chiamò per la nostra prima collaborazione nel suo album “Tarassaco Piscialetto” con il brano “La Rana e lo scorpione”.
Per quanto riguarda l’intro c’eravamo sentiti e mi aveva detto che gli sarebbe piaciuta una mia introduzione in latino ed ho avuto piacere di farla. Mi chiese esplicitamente quel passaggio del “Dies irae”.»



È innegabile che il tuo ultimo disco abbia avuto un notevole successo. Quanto tu e il tuo staff vi aspettavate questo feedback?
«Non è che sia stato un successo incredibile, però sì, è aumentato un po’ il bacino di utenza e ci ha fatto molto piacere. Io sinceramente non mi aspettavo una cosa del genere però fa molto piacere perché non faccio musica immediata o facilissima, significa quindi che la gente aveva già le orecchie allenate per certi tipi di musica.»
 

Alla luce di ciò, quanto è difficile far combaciare la tua professione con la tua carriera musicale?
«In realtà non è particolarmente complesso nel senso che sì, lavoro tanto, però per me andare a suonare è uno svago, non è un altro lavoro quindi non mi pesa molto. In classe non ci sono problemi perché i ragazzi sanno della mia attività musicale, all’inizio fu una bella novità poi tutto è diventato routine. La vera complessità è invece secondo me riuscire ad avere una forma musicale accattivante riuscendo comunque a metterci contenuti di spessore a livello concettuale, questa è la cosa un po’ più impegnativa secondo me nella mediazione tra i due aspetti.»

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Ormai hai realizzato diversi dischi oltre a diverse collaborazioni: quali sono gli stimoli che ancora hai nei confronti della musica?
«Lo storytelling è ancora una direzione che mi interessa percorrere perché mi piace la narrativa, mi piace il racconto nelle canzoni perché credo la musica lo potenzi. Quindi sì, ho intenzione di lavorare ancora in questa direzione, ho ancora stimoli in questo senso. Magari cercherò di introdurre nuove variabili sia a livello lirico che musicale, ma senza cambiare approccio.»


Spesso in Italia si paragona il rap al cantautorato o alla poesia e proprio a tal proposito, qualche settimana fa,  c’è stato un incontro nel quale eravate presenti tu e Guccini a Castelfranco Emilia. Questi paragoni possono forse far venire meno l’identità del rap, in quanto affiancandolo a qualcosa, si ignora il fatto che il quest’ultimo, in quanto genere musicale, possa avere anche dei sottogeneri propri. Tu cosa ne pensi? E qual è, se ne avete parlato, il giudizio di Guccini sul rap?
«Ho letto anche i vostri articoli riguardo questo tema e penso che il paragone col cantautorato ci stia, da un certo punto di vista. Credo ci possa stare perché il rap è un genere estremamente espressivo, con una grande capacità comunicativa, caratterizzato anche da un vitalismo che il cantautorato classico aveva e che quello attuale credo non abbia più.  Per questo credo ci sia un’eredità del cantautorato nel rap attuale. La mia prospettiva poi è farlo aderire sempre più a quella che era questa eredità e quindi riempirlo di contenuti conseguenti a quelli del cantautorato storico dove lo storytelling aveva un ruolo importante, ma anche contenuti  e riflessioni di tipo politico e culturale senza cadere nella retorica. Per cui secondo me c’è un legame, ma questo non toglie assolutamente autonomia al rap che gode sicuramente di ottima salute (ride, ndr).
Con Guccini siamo stati prima a cena anche prima di fare il confronto pubblico quindi ci siamo confrontati anche privatamente. In realtà Guccini non ha un grande parere sul rap . Ha detto che l’unico rap che ha ascoltato è quello di Fibra e che non gli ha fatto una buona impressione. Però mi ha anche detto di essere molto interessato al mio rap perché aveva letto alcune cose a riguardo. Poi ha avuto anche la cortesia di stare ad ascoltare il mio concerto e mi ha confidato che il fatto che ci fosse una componente culturale nella mia musica, riabilitava molto il rap ai suoi occhi.»
 

Una bella soddisfazione, direi.
«Per me immensa, anche perché non dico sia stato un “cambio di testimone” il nostro, ma sicuramente un confronto davvero interessante, senza contare che sono un suo grande fan.»

Nella tua posizione di musicista, ma anche di professore, sei d’accordo con quelli che dicono che questa generazione sia priva di valori?
«Mi sento assolutamente di dissentire, non ragionando tanto a livello statistico quanto a livello esperienziale. Incontro veramente tanti giovani, non solo nella mia realtà territoriale, che mi contattano e hanno davvero tantissima curiosità, voglia di stimoli e di spunti. Forse non sono la maggioranza, ma credo che in realtà il desiderio di cultura e interesse sia ancora tanto, ma spesso non viene comunicato e oltretutto il contesto massmediale, che è fatto anche di forme comunicative sterili come i social e altro, non aiuta in questa direzione. Però io ho ancora molte speranze nei giovani.»
 

Parlando sempre di giovani, o comunque di emergenti, quali artisti meritano più visibilità secondo te?
«Tra le cose nuove, pur non essendo un giovanissimo, Moder è una buona penna, così come anche Carlo Corallo di Ragusa, come ho detto più volte.»

Quindi segui la scena rap attuale?
«Mi tengo aggiornato sulle nuove uscite, mi piace ascoltare ciò che esce di nuovo, non la trap perché non mi piace, ma per il resto sono abbastanza aggiornato. Non riesco ad ascoltare tutto l’underground che esce perché ce n’è davvero tantissimo.»