Trap e Manierismo

Migos-Grammy

 La trap ha già esaurito tutto il suo potenziale?

Premessa iniziale: se credete che la trap sia solo spazzatura non iniziate neanche a leggere questo articolo. Il mio consiglio è di leggere prima questo articolo, e poi quest’altro, e infine ascoltarsi questa playlist. Questi link sono stati le fonti di ispirazione per la scrittura di questo pezzo, assieme ad una serie di considerazioni personali. 

Per manierismo (nel senso più comune del termine) si intende un fare artistico che, svuotato del suo significato più profondo, si ripete ormai fine a se stesso. Le caratteristiche del suddetto genere vengono estremizzate e portate alle conseguenze ultime, senza tuttavia apportare più niente di nuovo. Questa definizione molto sommaria si può applicare in modo abbastanza funzionale a questo ultimo anno di trap. Questa costola del rap, uscita ormai diversi anni ma sdoganatasi davvero negli ultimi tre anni in tutto il mondo, sembra in qualche modo aver già esaurito la carica esplosiva che l’aveva caratterizzata inizialmente. Per quanto essa sia tutt’ora il suono portante a livello mainstream (i numeri di “Rockstar” e di “Culture II” non mentono), la ripetizione pedissequa sembra essere l’unico modo che essa trova per sostanziarsi ad ogni nuova uscita. Segno forse di un impoverimento strutturale.

“All my bitches call me papi
Sloppy pockets, I’m poppin’
All these dollars I been clockin’
It ain’t no way to stop it”

Trap – Juicy J feat. Gucci Mane

La situazione italiana

In Italia arriva tutto dopo e arriva in maniera sfalsata, di conseguenza per molti ascoltatori questo sottogenere è ancora ad oggi quasi una novità. E in molti casi la percezione che ne hanno è sbagliata, come disse Ketama126, la trap qui da noi è molto edulcorata, di plastica. Ghali è ormai diventato il simbolo della nuova Italia multietnica, che ci auguriamo tutti possa nascere a breve (anche se i fatti di Macerata sembrano dire il contrario), ascoltato da genitori e figli. Il pubblico generalista guarda a Tedua come in America si guardava a Chief Keef nel 2012 quando uscì “Finally Rich”, con un misto di stupore e sorpresa (con Chief Keef parliamo di drill però il concetto è il medesimo).

Trattandosi in Italia ancora una novità, il desiderio di utilizzare questo nuovo mezzo espressivo è ancora molto forte. Questo porta alla nascita di artisti sempre più giovani, che in alcuni casi ottengono dei buoni risultati, in altri decisamente no.

Il mercato si trova quindi pieno di aspiranti trapper che fanno musica in modo decisamente discutibile. Questo di per sé non rappresenta un male, non tutti sono dei fenomeni, non tutti sono Tedua, Rkomi, Ketama 126 o Sfera (inseriti tutti da Highsnobiety tra i 10 rapper italiani da conoscere), e una grande attenzione sul genere permette di mantenere il livello della competizione molto alto.

Tuttavia, la concentrazione massiccia intorno a questa new wave e la mancanza di una reale alternativa a questo suono – in termini strettamente hip hop – difficilmente riproponibile se non nei termini già consolidati, ha portato alla sperimentazione in altri modi. Bisogna infatti dolorosamente ammettere che di giovani talenti veri l’underground italiano non ne sta producendo, si possono citare DrimerMattakAxos e pochi altri, ma si tratta di casi isolati e non della punta di diamante di un movimento consapevole. L’ultimo vero capopopolo fu MezzoSangue, di cui oggi più che mai si sente la mancanza.

Da qui forse nasce anche la grande attenzione attorno al lavoro di artisti che mischiano il cantautorato con il rap, e la conseguente esplosione dei vari fenomeni come Willie Peyote, Dutch Nazari o Carl Brave x Franco 126. Meno americani e più italiani, più facili da digerire per il pubblico e per le radio.

In ogni caso, il problema sul problema della presunta “vecchiaia” (presunta perchè si tratta più di ipotesi e congetture) del movimento trap, in Italia almeno per ora non si pone troppo.

La situazione all’estero

Nonostante già ci fossero state delle avvisaglie di un progressivo allontanamento dai valori che per più di 30 anni avevano sostanziato questa cultura, nessuna testa hip hop avrebbe potuto immaginare ciò che è accaduto in questi anni. Dal momento di rottura con l’esplosione di fenomeni come Future e Young Thug, si creò una spaccatura nell’ideale del pubblico che vedeva in questo sotto genere un distaccamento rispetto a quello che fino a quel momento era stato il rap.

Il pubblico da parte sua fu o entusiasta o schifato da tutto ciò, con una nuova proposta sonora, un nuovo modo di dire le cose, un nuovo stile e dei nuovi artisti che ridavano linfa al genere, mettendone in discussione i parametri e le fondamenta. La discussione che si generò fu enorme. Tutto nella norma, tutto molto positivo, la rimessa in discussione dei valori e degli stilemi certifica la vita di un genere, la standardizzazione e l’immobilismo la morte. A qualche anno di distanza, tutto questo sembra già essersi fermato.

Questo processo di impoverimento della trap deriva dall’assimilazione che il sistema culturale ha operato nel corso degli anni. Nel corso del tempo, il naturale processo di assimilazione e di adattamento ha permesso la comprensione ad un livello meno superficiale di questo neo nato linguaggio che alla lunga è stato universalmente riconosciuto come rap. Gli argomenti di cui tratta un Gucci Mane o i Migos, sono cose canoniche nel panorama hip hop, la voglia di rivalsa, uscire da una situazione che l’ha vissuta come può non averla vissuta, la ricchezza, la droga, le donne viste sotto una certa ottica etc. sono cose assolutamente frequenti nel rap. Quello che cambia è il suono attraverso il quale tutto ciò viene detto e il modo.

Queste furono le due grosse novità musicali nel momento in cui la trap esplose come fenomeno. Lo spostamento delle sonorità verso universi più legati al mondo dell’elettronica e meno a quello del campionamento per esempio – tipico del rap anni 90 (soprattutto east side) – l’utilizzo delle famose batterie elettroniche (808 su tutte) e l’uso dell’autotune (se avete qualcosa da ridire sull’autotune consiglio di leggere questo articolo). Questo correttore della voce, sfruttato per intonare una voce altrimenti stonata, è diventato nel lungo periodo il marchio caratterizzante della nuova scuola.

Oltre a strumenti espressivi diversi, in molti casi la rottura coinvolse anche la metrica e il modo di pronunciare le parole e questo ha portato alla creazione di una serie di incomprensioni di base. Uno dei commenti più classici di qualsiasi hater è infatti “eh ma questi non chiudono le rime!” oppure “se ci fosse Tupac lavorerebbero tutti al McDonald”, frasi che ad oggi suonano molto come le osservazioni dei rocker che i DJ non sanno suonare, ma schiacciano solo dei pulsanti o su per giù.

A partire da Young Thug e Future che risultano incomprensibili, fino ad arrivare a Chief Keef che va fuori tempo, la lista dei bersagliati è infinita. Qualche anno fa tutto ciò era suonato innovativo, o quanto meno di rottura rispetto al panorama e alla scena dominante, ora suona già quasi tutto stantio.

Queste considerazioni nascono alla luce di un anno molto florido a livello di uscite ma poco ricco a livello di sperimentazioni, che sembrano orientarsi sempre più verso altri generi musicali (l’r’n’b è tornato a far parlare prepotentemente di sé, vedi SZA, Sampha e Kelela).

Esempi

Alla luce soprattutto di una serie di dischi che avrebbero dovuto segnare il passo rispetto a questa forma espressiva, ma sono risultati solamente frutto di un fare più manieristico che creativo, eccezioni sono state “Culture” dei Migos, “Whitout Warning” di Offset, 21 Savage e Metro Boomin (non innovativo ma sicuramente un lavoro solido) e le sperimentazioni di Lil Peep (RIP). I due casi più eclatanti sono “Huncho Jack, Jack Huncho” e “Super Slimey”, che vedono protagonisti Travis Scott e Quavo, Young Thug e Future.

Questi lavori sarebbero dovuti essere la presa di coscienza definitiva del genere, dei pilastri sui quali fondare la credibilità di questo suono ma anche una buona occasione per tirare le fila di un discorso iniziato anni fa e che ha dilagato in lungo e in largo. Le premesse erano delle migliori, i risultati tutt’altro, dando la migliore occasione ai critici per farsi ancora più forza delle loro convinzioni. Tutto ciò risulta ancora più destabilizzante considerando soprattutto lo spessore degli artisti coinvolti nei suddetti progetti, uomini che hanno davvero fatto ridiscutere cosa sia o non sia rap negli ultimi anni.

Senza entrare nello specifico per ogni singola traccia dei due dischi, è difficile dire cosa abbiano aggiunto questi progetti al contesto musicale del 2017. Partendo da “Super Slimey”, che più dell’altro è stato forse una delusione, avrebbe dovuto essere una sorta di “Watch the Throne” per la trap. Il peso specifico degli artisti coinvolti è paragonabile, il risultato decisamente meno, per quanto sia riconoscibile l’impronta di ciascuno dei singoli il lavoro stenta sempre a decollare, dove uno è più mumble, l’altro risulta decisamente più schizofrenico e caotico. “Real Love” in tal senso è forse l’esempio più lampante. Ma la considerazione che nasce spontanea dopo averlo ascoltato è: ma ancora? siamo ancora a questo punto? non riusciamo ad aggiungere niente di nuovo alla discussione? Non ritengo sia possibile creare qualcosa di nuovo ogni 5 anni ma penso sia doveroso da parte da artisti di questo calibro che hanno davvero cambiato le regole del gioco, riuscire a portare qualcosa di nuovo ad ogni progetto. Allo stesso modo in cui Kendrick Lamar, Kanye West e Frank Ocean riescono a creare qualcosa di sorprendente ad ogni nuova uscita.

Medesimo discorso si può applicare per “Huncho Jack, Jack Huncho” di Quavo e Travis Scott. Un disco attesissimo, con livello di hype mostruoso che però non è riuscito a mantenere le aspettative: di sicuro risulta migliore di “Super Slimey” ma sembra sempre arrancare verso la ricerca di una propria vera identità. Qualche spunto buono è presente come il campionamento di Otis Redding in “Modern Slavery“, la voce di Young Lean in “Dubai Shit“, chitarre interessanti su “Moon Rock” e una copertina bellissima di Ralph Staedman. Tuttavia, il risultato è un prodotto godibile ma senza mordente, accattivante ma senza spina dorsale. L’ennesimo album fotocopia di due artisti che sembrano essersi fossilizzati sul loro status quo di superstar.

Augurio

Il mio augurio per il 2018 è che tutti gli artisti trap, rap, grime etc. prendano spunto da quello che ha fatto Jay-Z lo scorso anno. Quel signore che muove milioni di dollari con la stessa tranquillità con la quale io spendo 5€ per una birra, è uscito lo scorso anno con “4:44“. “4:44” è stato a mio modo di vedere il disco dell’anno, perché dimostra come la qualità artistica non abbia età (ha 48 anni e niente da dimostrare). “4:44” mostra come si possa parlare a tutti, senza essere per forza dei profeti scesi in terra come Kendrick (che ci piace da morire, ma sta assumendo le vesti di un santone più che di un rapper). “4:44” mostra come ci si possa reinventare, ed essere attuali a livello di testo, produzioni e di video, dopo che si è già dimostrato tutto e si possiede un patrimonio di mezzo miliardo (non mi credete? ascoltate “The story of O.J.“). “4:44” dimostra che non c’è nulla di così personale, che non possa essere raccontato attraverso la musica (non mi credete? emozionatevi sentendo la title track). Non tutti possono essere Jay-Z, ma i personaggi che ho citato fino ad ora sono gente che ha cambiato le regole del gioco e spero riescano a portare la trap ad essere davvero qualcosa di generazionale.

]