Caparezza e “Prisoner 709”. Psicanalisi di un prigioniero

Caparezza Rapologia

Cartella clinica del nuovo album di Caparezza

Prosopagnosia

“La prosopagnosia è un deficit percettivo acquisito o congenito del sistema nervoso centrale che impedisce ai soggetti che ne vengono colpiti di riconoscere i volti delle persone.”

Caparezza è da sempre uno degli artisti più discussi del panorama musicale italiano. La sua figura è stata spesso implementata di luoghi comuni dovuti alla sua riconosciuta dedizione a tematiche sociali analizzate da prospettive interessanti come ad esempio quella dell’arte, in “Museica, o la politica, ne “Il Sogno Eretico. Purtroppo questo tratto caratteristico è stato negli anni spesso vittima di interpretazioni, recensioni ed interviste che hanno restituito all’ascoltatore medio un immagine folkloristica ed istituzionalizzata dell’artista che poco rispecchia la profondità concettuale e le sfumature culturali che spesso l’artista pugliese dissemina tra le righe dei suoi testi. A testimonianza di ciò viene in mio aiuto un’intervista nella quale il giornalista (?) presenta il nuovo progetto di Caparezza con un’allegria ed una spensieratezza che evidenziano come il media standard abbia ormai una costruzione mentale datata e limitata dell’artista che paga la “colpa” di aver concesso il suo personaggio e la sua persona in un contesto che va oltre la musica di nicchia, divenendo così carne per gli squali nel mare di mediocrità che è l’informazione, o meglio la contro-informazione, italiana.

Ed è forse questa sovraesposizione mediatica uno dei tanti fattori che hanno portato Caparezza a scrivere e concepire il disco più maturo della sua carriera. Il linguaggio utilizzato ancora una volta è quello del rap, dettaglio da non tralasciare per spiegarVi quanto quest’arte abbia la profondità giusta per soddisfare i requisiti di espressione a qualsiasi età ed a qualsiasi condizione. “Prisoner 709” è un album potente a livello musicale, introspettivo nei suoi contenuti, ribelle nella sua causa.  Dopo una vita da “tribuno del popolo” Caparezza ha deciso di scavare dentro sé cercando un’identità persa tra i labirinti del suo Io.  L’incipit di questo libro musicale, così come lo ha definito lui, ne è la testimonianza. “Prisoner 709” inizia con una dichiarazione di non appartenenza a sé ed agli altri, una patologia quasi psicologica, viscerale. La prosopagnosia.

Confucianesimo

“Il Confucianesimo è una dottrina umanistica secondo la quale gli uomini sono divisi in tre categorie: gli uomini perfetti, gli uomini superiori e gli uomini comuni.”

Il titolo dell’album, “Prisoner 709“, è ispirato ad un esperimento sociale condotto nel college universitario di Stanford nel quale il dottor Zimbardo ha simulato la vita carceraria dividendo alcuni studenti in guardie e ladri, ispirandosi alla psicologia delle masse teorizzata da Gustave LeBon. Le reazioni degli studenti a questo gioco si sono rivelate però inaspettate e molto più fedeli alla realtà di quanto si pensasse, tanto che il ricercatore in questione è stato costretto a sospenderlo. Inoltre uno degli studenti, il prigioniero 809, intraprese uno sciopero della fame per protesta alle condizioni invivibili cui i detenuti erano costretti a versare. Ed è da questo fenomeno che Caparezza ha posto le basi per la psicanalisi di un prigioniero qualunque. Tutti siamo prigionieri di qualcosa, della nostra testa, della nostra vita o dei nostri legami. Da colui che vive nella fama sino a chi vive nella miseria. Esserne consapevoli è una scelta coraggiosa e forse né è la chiave. E lo sa bene Michele Salvemini, che ha deciso di reinventare i tratti del concept album, scavando oltre la superficie proprio come Freud fece con la psicanalisi. Proprio come fece Italo Svevo con “La Coscienza di Zeno“.

Il romanzo presentava i caratteri del diario personale, attribuendo ad ogni capitolo di esso una diagnosi clinica che snocciolava i temi portanti della vita di una persona qualunque. Il lavoro, la famiglia, l’amore. Tutto ciò con unica, continua, costante: la totale consapevolezza della propria fragilità.  Mi chiederete voi, come fare a paragonare un classico della letteratura ad un album musicale qualunque? Vi risponderò che vi sbagliate, perché dietro ad ogni brano è nascosta una peculiarità sottile come la nebbia ma spessa più di una lastra di vetro: ed è la sincerità disarmante, l’atto di volontà ultimo con il quale entrambe le opere sono venute al mondo.

Caparezza nel suo testamento musicale e personale sviscera temi diversificati ed importanti. Dalla religione al successo, dalla solitudine alla moltitudine, dalla malattia alla morte, dalla gioia al dolore.

Acufene

“Un acufene è un disturbo uditivo costituito da rumori che l’orecchio percepisce come fastidiosi a tal punto di influire attivamente  sulla qualità della vita del soggetto che ne è affetto”

Un’altra differenza sostanziale che risente forte del flusso di coscienza risiede nell’approccio che Caparezza ha avuto nei testi che compongono “Prisoner” 709. Durante la conferenza di presentazione, avvenuta come una vera seduta psichiatrica, l’artista ha confessato di soffrire da più di un anno di un disturbo dell’udito chiamato acufene, che ne ha influenzato in modo sensibile la routine quotidiana quando questa sembrava inamovibile. Il Caparezza che tutti siamo abituati a conoscere è sempre stato critico nei suoi testi, snaturato, dinamico, sfuggevole, criptico, ironico, ermetico. Questa volta troviamo però all’interno delle sue liriche sfumature e concetti figlie di questo nuovo approccio che gioco-forza ha dovuto attuare. Troviamo tante ripetizioni che rafforzano concetti, costanti riferimenti psicologici e religiosi cuciti sulla pelle dei brani, confessioni volutamente esplicite ed esperimenti sonori al limite del surreale che hanno fatto persino dubitare delle certezze che molti ascoltatori pensavano di avere.

La seduta si conclude con un gioco di parole con la traccia iniziale, con un’accettazione consapevole e non passiva della propria psicanalisi. Così come Zeno decise di lasciar perdere ritenendo il tutto uno spreco di tempo perché “un uomo non potrà mai risolvere i problemi di un altro uomo”, Caparezza fa sì che sia la musica a parlare per lui e che nonostante la situazione non sia scomparsa, né migliorata, averle dato forma e contenuto è forse servito a qualcosa. Così come liberarsi delle zavorre da musica leggera che erroneamente gli etichettano. Così come quelle di intellettualoide, folkloristico o commerciale. Così come quelle di Caparezza che stava perdendo il suo Michele e che forse sta continuando a perderlo. Ad un artista con una carriera decennale sulle spalle va senz’altro attribuito il merito di aver avuto un’importante voce in capitolo nella vita e nel pensiero di migliaia di persone, ma mai come ora gli si può attribuire l’onore, l’onere ed il rispetto di aver avuto il coraggio di nuotare contro-corrente in un oceano di pesci morti. Caparezza si è guardato dentro, scoprendosi Michele, vedendo prigioniero nel riflesso. Ma forse lo siamo un po’tutti.  È che Prosopagno.. Sia.

Artwork by Manuél Di Pasquale